Coronavirus, in Cina crolla la domanda di petrolio. Industria ferma

Il prezzo del greggio è crollato a 56 dollari al barile, circa il 5% in meno rispetto a venerdì. Tanto che l’Iran — che esporta soprattutto in Cina — ha già chiesto interventi ai Paesi produttori per un taglio alla produzione. Secondo l’agenzia Reuters, la maggiore raffineria asiatica, Sinopec, ha tagliato la produzione di circa 600 mila barili al giorno nel mese di gennaio, mentre la provincia dello Shandong, che importa il 20% del greggio consumato dalla Cina, ha tagliato la produzione dal 30% al 50% nell’ultima settimana. L’Opec Plus starebbe considerando un ulteriore taglio di 500.000 barili di greggio al giorno, secondo la Reuters che cita due fonti. A spingere in questo senso è anche l’Arabia Saudita, la cui economia è dipendente dalle entrate derivanti dalle vendite di idrocarburi, nonostante i piani di diversificazione. Il Regno ha bisogno di prezzi pari a circa 80 dollari per bilanciare il suo bilancio statale. L’Opec Plus starebbe valutando di tenere un meeting il 14-15 febbraio, prima del programmato incontro del 5-6 marzo.

La mossa della Banca centrale: più liquidità al sistema

Proprio per contrastare la frenata dell’economia la Banca centrale di Pechino lunedì 3 febbraio è intervenuta sui mercati inondando il sistema di nuova liquidità per 1.200 miliardi di yuan (173 miliardi di dollari) agendo su pronti contro termine (repo), la maggiore operazione sulla liquidità dal 2004. L’istituto ha spiegato che l’intervento ha l’obiettivo di mantenere «una liquidità ragionevole e abbondante» del sistema bancario e a garantire la stabilità del mercato dei cambi, dato che lo yuan sta scivolando significativamente nei confronti del dollaro. Secondo Bloomberg il governo potrebbe mettere in campo una serie di misure a sostegno dell’economia, tra cui un innalzamento del tetto al rapporto tra deficit e pil e, più in generale, rivedere il target di crescita per il 2020 nell’ambito di una più ampia revisione dei piani proprio a causa del Coronavirus. Il target annuale di crescita cinese viene generalmente reso noto a marzo. Secondo gli economisti la Cina dovrebbe puntare a una crescita «attorno al 6%» dopo il range 6-6,5% fissato per il 2019, chiuso con una crescita del 6,1%. La pandemia

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di Redazione Economia

Il blocco delle aziende, Renault ferma a Wuhan

La frenata è stata brusca: come riferisce la stampa cinese sono almeno 24 le province e municipalità cinesi, come Shanghai, Chongqing e il Guandong, che hanno rinviato la ripresa delle attività economiche e produttive a non prima del 10 febbraio, per i timori di contagio del coronavirus di Wuhan. Si tratta delle aree più produttive della Cina: nel 2019 valevano oltre l’80% in termini di contributo al Pil della Cina e per il 90% all’export. Renault per esempio ha reso noto che il suo stabilimento a Wuhan resterà chiuso fino al 13 febbraio, secondo le indicazioni delle autorità.

La frenata in atto

Già senza l’effetto virus, i dati macroeconomici di gennaio non mostrano segnali incoraggianti: l’indice manifatturiero Caixin — diffuso lunedì 3 — è calato a 51,1 a 51,5 punti, un rallentamento che per gli esperti è legato più alla debole domanda dall’estero che agli effetti del virus. Anche i dati sull’industria cinese indicano che il rallentamento era già in atto: gli utili delle imprese industriali statali — secondo i dati dell’ufficio statistico nazionale Nbs — sono scesi del 12% rispetto all’anno scorso, passando a 1,64 trilioni di yuan. Nel solo mese di dicembre, gli utili delle principali imprese industriali sono diminuiti del 6,3% rispetto al 2018. Il calo dei profitti è risultato particolarmente accentuato in settori industriali chiave come l’acciaio, -37,6%, l’ingegneria chimica, -25,6%, l’automobile -15,9%, e la lavorazione del petrolio, -42,5% rispetto al 2018. il virus

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Hong Kong, prima recessione dal 2009

Anche la crisi politica di Hong Kong ha pesato. Nel 2019 il pil di Hong Kong si è contratto dell’1,2% rispetto al 2018, dopo un quarto trimestre in calo del 2,9% sullo scorso anno e dello 0,4% sul trimestre precedente. Le proteste contro la Cina, si ha scritto il dipartimento di statistica, «hanno avuto un costo pesante per il sentimento economico come pure per i consumi e le attività collegate al turismo». E adesso si naviga a vista: le previsioni per il 2020 «dipenderanno molto» dallo sviluppo dell’infezione di coronavirus. Per Hong Kong si tratta del primo calo del Pil annuale dal 2009.

Un impatto dello 0,5% sul pil secondo Fitch

Quale sarà l’impatto sull’intera economia cinese è ancora difficile da stimare, mettono le mani avanti gli analisti, perché non si può ancora sapere quanti mesi durerà l’emergenza Coronavirus. L’agenzia di rating Fitch venerdì ha confermato la stima sul pil cinese 2020 a +5,9%, anche se il virus — ha sottolineato — potrebbe ridurre la crescita al 5,4%, mentre Morgan Stanley stima un impatto fino all’1% sulla crescita del pil cinese nel primo trimestre 2020, con l’effetto di ridurre di 0,15-0,30 punti percentuali l’intero Pil globale nel primo trimestre.

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Il paragone con i danni della Sars

Per fare un paragone, l’epidemia di Sars nel 2003 aveva ridotto il pil cinese dello 0,8%, ha ricordato la società svizzera di gestione di fondi Notz Stuck, che evidenzia: «Se tale virus dovesse contrastare la crescita economica come nel caso della Sars, le conseguenze sarebbero peggiori, in quanto nel 2003 il peso dell’economia cinese rispetto a quella globale era pari al 6%, ma ad oggi e pari al 19% circa».

Spinta ai business online

Tuttavia, — continua Notz Stucki — alcuni settori potrebbero trarre vantaggio da questa situazione. Ad esempio, l’epidemia ha reso indispensabili molti business in Cina, tra cui l’assistenza sanitaria online, formazione online e streaming, con numerosi utenti che si stanno iscrivendo su queste piattaforme. «Come la Sars ha preceduto il boom del commercio elettronico, il virus può anche accelerare l’adozione di vari modelli di business online. Un altro settore che ne uscirebbe avvantaggiato potrebbe essere quello farmaceutico. Alcune societàpotrebbero ottenere dei profitti significativi, in quanto hanno giàricevuto cospicui finanziamenti per poter sviluppare vaccini contro il virus». Per esempio, il network di auto elettriche CaoCao Mobility, lanciato lo scorso anno da Geely, il gruppo cinese che è proprietario di Volvo, Lotus e Proton, ha avviato nella città di Wuhan «servizi gratuiti di mobilità per residenti e operatori sanitari come consegna di pasti, generi alimentari e medicine ai residenti e trasporto per emergenze mediche».

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