Giuseppe Conte, il premier Colibrì che batte le ali solo per stare fermo
A novembre si voterà negli Usa: cominciano le primarie per scegliere il rivale di Trump,
nel Partito democratico la valanga giovanile e femminile ha già dimostrato di poter cambiare la linea dell’Asinello
,
ora deve trovare però un candidato in grado di essere competitivo con il
presidente uscente che nel frattempo incassa il boom di Wall Street e i
risultati record sull’occupazione e rivendica la ripresa del suo ruolo
di pivot internazionale, dall’Iran a Israele.
Per questi motivi, più grandi di quelli domestici della bassa cucina
italiana, il 2020 dovrebbe essere anche l’anno in cui il fronte
alternativo dovrà impegnarsi a costruire le condizioni che mancano per
una rinascita: una cultura politica nuova, lontana dall’ottimismo
spensierato degli anni Novanta e dei primi dieci anni del secolo e dal
cupo pessimismo seguito alla crisi mondiale del 2007, un’organizzazione
legata ai nuovi modi di lavorare e di consumare, leadership e classi
dirigenti capaci di ricucire la società delle persone sole e senza
mediazioni, reti di solidarietà, mediazioni.
vedi anche:
«È questa la nostra rivoluzione»: dialogo in esclusiva tra Joshua Wong e le Sardine
Il ragazzo simbolo delle proteste di Hong Kong si confronta con i fondatori del movimento italiano che per la prima volta parlano dopo il voto in Emilia Romagna. I giovani che scendono in piazza sfidano la vecchia politica, decisi a occupare il futuro. «Siamo l’urlo del popolo, impossibile non udirlo»
Se ne parlerà anche a
Padova, capitale europea del volontariato 2020 (ne scrive Francesca Sironi)
,
nella città veneta nel cuore della regione leghista, guidata da un
sindaco civico, imprenditore e solidale: una manifestazione che solo un
osservatore distratto può considerare lontana dalla politica. Perché la
sinistra, o come si chiama il polo anti-populista e anti-nazionalista,
vince là dove queste reti ci sono o hanno saputo rigenerarsi, come
dimostra la cartina del voto emiliano-romagnolo. Città contro campagne,
ancora una volta, grandi centri contro piccoli centri, i ceti medi che
si rifugiano nel voto di conferma del buon governo di Bonaccini e gli
sconfitti del cambiamento che in massa aderiscono alla Lega. Ma anche,
con una lettura più sofisticata, corpi intermedi – laddove ci sono –
contro abbattimento delle mediazioni, comunità contro solitudine.
La geografia del voto fotografa un successo del Pd e dei suoi alleati, a
cominciare dalla sinistra Coraggiosa di Elly Schlein, che lanciò un
anno fa la sua idea del Terzo Spazio sulle pagine dell’Espresso,
intervistata da Giuseppe Genna (17 febbraio 2019)
.
In questo numero la consigliera regionale più votata interviene per raccontare la sua campagna e il suo progetto
,
ma è chiaro che gli entusiasmi suscitati vanno ben oltre un’elezione
regionale. Ed è evidente che le reti sono costituite, innanzitutto, da
chi è rimasto sul territorio in anni difficili e non ha arretrato di
fronte ai nemici che avanzavano: la sfiducia, la rabbia, la tentazione
di fare tutto da soli, il particolarismo, ognun per sé, prima ancora
della Lega di Salvini. Il coraggio di restare, la tenuta dei buoni
amministratori che in questi anni difficili hanno continuato a fare
manutenzione del territorio, non hanno smesso di confrontarsi con la
realtà. Mentre nei luoghi in cui questi legami sono venuti a mancare la
destra è penetrata senza incontrare ostacoli.
La sinistra italiana ha una fortuna: il vento soffia forte a destra, ma
il leader che dovrebbe intercettare questo consenso si rivela incapace
di compiere il passo finale. Anzi, arrivato quasi alla meta, viene
afferrato dalla voglia irresistibile di fare una cosa di sinistra, si fa
cioè del male da solo. Così è stato quando si è portato le telecamere a
immortalare la passeggiata del quartiere Pilastro a Bologna, l’ormai
storica citofonata al presunto spacciatore che gli si è ritorta contro.
Avevo visto Salvini, prima del voto, impegnato in un comizio a Modena in
una sera di nebbia all’inizio di gennaio.
Mi
aveva fatto l’impressione di un capo fintamente sicuro di sé, in realtà
terrorizzato di poter vincere e stravincere per poi dover fare i conti
con la realtà
.
Dopo la sconfitta del 26 gennaio, quelle piazze piene di passanti a
caccia di selfie mi sembrano diventate la stanzetta dei giochi per un
leader incapace di crescere e di far crescere il suo elettorato,
timoroso di diventare grande. Ancora una volta, come ad agosto,
nonostante i tanti appoggi insperati (vero, cardinale Camillo Ruini?) e
le tante chiacchiere sulla sua svolta moderata, Salvini ha mancato
l’occasione per diventare adulto, è rimasto un bambino che fa (brutti)
scherzi al citofono, appare trascinato in un processo di infantilismo e
di precoce invecchiamento (politico) che gli provocherà qualche problema
nella coalizione di centro-destra e che sta condannando all’estinzione
il partito che meno di due anni fa aveva conquistato la maggioranza
relativa dei voti, il Movimento 5 Stelle. Susanna Turco acconta di
questo cupio dissolvi senza precedenti, lo spettacolo mai visto di un
movimento dell’anti-politica che sparisce dalla società e si rinchiude
nel Palazzo, incapace di dire qualcosa perfino sulla sua scomparsa.
vedi anche:
Elly Schlein: «Siamo qui per riparare la sinistra: non si vince al centro»
La più votata alle regionali dell’Emilia-Romagna, con la lista Coraggiosa, racconta i prossimi obiettivi. «C’è un altro modo di fare politica, senza urlare slogan, senza aver paura di confrontarsi con le persone»
Il Grande Cratere della legislatura, il buco nero al centro dell’emiciclo parlamentare rappresentato dalle anime morte casaleggiane, è il punto interrogativo delle prossime settimane e riguarda in prima persona il futuro del governo e del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il voto in Emilia Romagna lo ha rafforzato, almeno in apparenza, ma ha fatto anche aumentare le contraddizioni della maggioranza. Conte rischia di perdere il suo ruolo di mediazione e di garante tra Pd e M5S, con il Movimento che tra Camera e Senato è amorfo, non più vitale. Per questo si propone come il capo del fronte anti-destre, ma rifiuta di rivelare per chi avrebbe votato in ER, rifugiandosi nel voto disgiunto. Mi è venuto da paragonarlo al Colibrì del romanzo di Sandro Veronesi, che impiega tutte le sue energie nel restare fermo, «settanta battiti d’ala al secondo per rimanere già dove sei».
Il premier Colibrì, però, restando fermo rischia di precipitare. E deve smettere di essere un partito Colibrì il Pd di Zingaretti, che si auto-proclama pilastro dell’alternativa, come dire che chi vuole sconfiggere la Lega da lì deve passare, anche se il partito non facesse nulla. Il pilastro è statico, la strategia dell’immobilismo e della invisibilità può bastare per diventare il polo alternativo a Salvini o per imbalsamare il gruppo dirigente del partito e del governo, ma per costruire serve un progetto, per vincere bisogna muoversi. Non si può dimenticare, dopo soli sette giorni, la lezione del voto emiliano: dirigenti nuovi, già sperimentati sui territori, possibilmente donne in un partito ancora tutto al maschile, il segno più evidente dell’arretratezza della sinistra italiana. E un po’ di coraggio.
Si muovono così i giovani in tutto il mondo. È lo Youthquake dell’ultima copertina di Time , il Terremoto dei giovani che sta cambiando la politica globale e anche quella italiana. I fondatori del movimento delle Sardine hanno deciso saggiamente una dieta mediatica dopo la sovrapposizione delle ultime settimane di campagna elettorale, ma parlano a distanza in questo numero dell’Espresso (nel dialogo curato da Sabina Minardi) con Joshua Wong , classe 1996, il ventenne leader pro-democrazia delle manifestazioni di Hong Kong.
Nulla dovrebbe far paragonare un movimento che si batte contro il gigante cinese del partito comunista unico, oggi messo in ginocchio dall’epidemia di Coronavirus, alle Sardine, nate e cresciute in una Repubblica democratica. Ma c’è un altro virus che si espande da Oriente a Occidente, è la mancanza di rappresentanza, l’appassire della partecipazione, la riduzione della politica a tecnica di potere che è l’anticamere della richiesta di un uomo solo al comando. C’è una democrazia da far nascere e una democrazia da ricucire: per questo Joshua Wong e Mattia Santori, Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni e Roberto Morotti sono meno lontani di quello che sembra. Sono vicini. Un comune sentire. Una fratellanza, come la parola di padre Antonio Spadaro di questa settimana.
L’ESPRESSO
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