Coronavirus, stop ai voli, un caso nel governo: bloccati in Cina 600 italiani

Sono 11mila gli italiani iscritti all’Aire che vivono in Cina e almeno 600 quelli non registrati perché arrivati soltanto per periodi brevi. Un numero che potrebbe essere addirittura più elevato — arrivando fino a un migliaio — e per questo l’Unità di crisi della Farnesina diretta da Stefano Verrecchia sta effettuando una sorta di «censimento»: una volta rientrati tutti dovranno infatti essere sottoposti alla quarantena. Il rimpatrio è reso però impossibile dal divieto di volo imposto da Conte e condiviso con Speranza che sin da subito aveva provocato l’irritazione forte delle autorità cinesi, ma anche le perplessità degli altri ministri. Tanto che palazzo Chigi aveva fatto trapelare di aver «deciso con il pieno coinvolgimento dei capi delegazione di maggioranza e sentendo specificamente il ministro degli Esteri e il titolare dell’Economia che hanno dato pieno assenso». Versione non confermata dai diretti interessati e così nemmeno 24 ore dopo si è decisa una parziale marcia indietro concedendo il via libera per i cargo che trasportano merci: «Si tratta di materiale non contaminabile né contaminato, dunque fatti salvi i controlli sanitari per gli equipaggi non sembra sia necessario tenere ferme le merci», aveva chiarito il commissario per la gestione dell’emergenza Angelo Borrelli. E dal Quirinale era filtrato «l’auspicio a un ritorno alle normali relazioni tra Italia e Cina sollecitamente e sotto ogni profilo».

I voli speciali

Ora si lavora per trovare una soluzione rapida. Più passa il tempo più aumenta il pericolo che i 600 italiani possano essere contagiati. E dunque più forte è il rischio che decidano di tornare effettuando triangolazioni in altri Stati, anche tenendo conto che l’Italia — se si eccettua la Repubblica Ceca che farà scattare il divieto da domani — è l’unico Stato ad avere fermato i collegamenti diretti. Ecco perché ieri mattina dal ministero degli Esteri si è chiesto a quello della Salute di concordare una modifica al decreto per autorizzare almeno un volo. Fino a tarda sera non è arrivato alcun assenso, probabilmente nel timore di dover ammettere una sorta di avventatezza nelle prime decisioni. E questo nonostante i tecnici siano concordi nel ritenere che la scelta davvero indispensabile sia un’ulteriore stretta dei controlli negli aeroporti italiani proprio per evitare il rischio di non «visitare» chi è stato in Cina ma è rientrato passando da un altro Paese. Ieri l’ambasciata italiana a Pechino ha deciso di chiudere i centri per il rilascio dei visti fino al 16 febbraio. Una scelta che potrebbe creare ulteriori tensioni dopo le proteste dei giorni scorsi delle autorità cinesi proprio sui voli bloccati, ma anche degli imprenditori preoccupati per una situazione che sta causando gravi perdite economiche in numerosi settori.

CORRIERE.IT

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