Prescrizione, la minaccia a cui nessuno crede

Peraltro, in questa sorta di martedì grasso d’Aula anticipato, non si capisce perché, se l’obiettivo è far saltare il governo, Renzi voti la fiducia sul “lodo Conte”, il lodo della discordia, per poi scaricare il suo dissenso sul Guardasigilli, la cui norma attualmente vigente da quel lodo esce cambiata. E non si capisce perché, se l’obiettivo è far saltare il governo, il coraggioso crociato del garantismo non si alzi in Aula in modo solenne, annunciando il suo no al provvedimento che violerebbe i suoi non negoziabili principi, ma sceglie la via di una rappresaglia individuale al ministro.

Parliamoci chiaro: quella di Renzi è una classica minaccia, l’ennesima sul tema, che non sortisce nemmeno l’effetto che una minaccia degna di questo nome dovrebbe avere incorporata, ovvero la capacità di spaventare i propri interlocutori, il che è forse il dato più significativo che qualifica il declino di una leadership e il baratro che separa la concezione di sé dal principio di realtà. Solo tre giorni fa Renzi ha dichiarato che il governo non è in discussione, per poi inventarsi una mossa che lo farebbe saltare, con lo spirito di un Giamburrasca ossessionato dall’apparire sconfitto, attento più ai titoli del Giornale sulla sua fragilità “garantista” – quelli sì che se ne intendono di bluff in materia, dalle parti di Berlusconi – che agli allarmi del paese reale.

Non c’è da scomodare il senso di responsabilità, o l’amore verso il paese per cogliere lo iato tra l’eccitazione sulla trovata del giorno e le emergenze che pone l’agenda reale, dal coronavirus ai dati sul Pil. Agenda ignorata da un leader che si muove come un capo-ultrà, ignaro di una curva sempre più stretta, che, in quanto opposizione al governo, è riuscito a silenziare in questi giorni – e non è poco – il suo rumoroso omonimo, con tanto di alleati al seguito. La destra si limita a godersi lo spettacolo e il meritato riposo, avendo trovato chi fa gratis il suo lavoro. Lavoro reso possibile anche dalla confusione attorno allo strumento da adottare per trasformare questo benedetto “lodo Conte” in provvedimento. Scartata la via del decreto, non sembra possibile neanche un emendamento nel mille-proroghe perché su di esso si addensano nubi di incostituzionalità. Ed è slittato il consiglio dei ministri che, pare, si svolgerà giovedì. Il che consentirà al Renzi di attribuirsi il merito di questo pasticcio e di presentarlo come il frutto della sua opera di interdizione. Al momento l’ipotesi sul tavolo è quella di un emendamento alla cosiddetta legge Costa che dovrebbe andare in Aula il 24 febbraio.

Al fondo, però, il dato politico è questo: la maggioranza, intesa come dinamica, vincolo politico, disciplina di coalizione, non c’è più. Quello di Renzi non è ancora un “appoggio esterno” perché i ministri sono ancora in carica, ma sostanzialmente gli assomiglia molto. E in questo dato c’è tutta l’ansia e la disperazione da recupero di voti, dopo una valanga di operazioni e previsioni sbagliate: la scissione, che ha prodotto un partitino del 3 per cento che ancora non trova un candidato in Puglia e teme di presentate le liste in Toscana; l’imprevista vittoria in Emilia che ha rinsaldato la centralità del Pd e di Zingaretti; l’idea di poter sostituire Conte giocando di sponda con Di Maio, fallita col compromesso trovato, l’inquietudine dei gruppi parlamentari dove in parecchi non sono disposti a seguire Renzi di fronte a uno strappo. Ecco, nasce da qui la minaccia quotidiana. La notizia è che non lo prende più sul serio nessuno.

L’HUFFPOST

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