Il Governo pressa i Benetton per vendere Autostrade ma per Atlantia non ci sono ancora le condizioni
Anche in casa Atlantia la revoca non viene vista di buon occhio. Un colpo così pesante nei confronti di Autostrade avrebbe un effetto pesantissimo sulla controllante in termini industriali e di immagine. E, risalendo la piramide, su Edizione, la holding operativa che fa capo ai Benetton. Insomma, bandiera bianca sul tetto e all-in per il governo. La condizione che appare più complessa è quella della vendita. Non il tema in sé, ma l’opportunità di questo mossa oggi, all’interno di un contesto ritenuto non idoneo. Che Altantia sia disposta a vendere una parte, anche sostanziale, della quota che detiene in Autostrade, pari all′88%, è un tabù che è stato rotto per ragioni strategiche e di prospettive industriali dalla stessa società. Quindi ben vengano uno o più soci, privati o pubblici (gli indiziati sono il fondo F2i e Cdp, anche se da ambienti della Cassa si apprende che il dossier non è all’ordine del giorno). Ma l’ingresso deve avvenire in un secondo momento, senza mettere a subbuglio l’equilibrio economico-finanziario. Non deve essere cioè la svendita di un giocattolo rotto.
La lista degli elementi che rendono impossibile dare seguito all’idea rilanciata dal governo è lunga. Sono le stesse fonti a illustrarle. Punto primo: il governo deve cancellare o comunque sterilizzare l’articolo 35 del decreto Milleproroghe. In quell’articolo è delineato uno scenario che ingloba la revoca e la gestione delle autostrade in mano all’Anas. Il contromessaggio al governo è: apriamo le porte di Atlantia ad altri soci, allarghiamo la governance, di fatto rinunciamo al controllo assoluto su Autostrade, ma dal tavolo va tolta la pistola fumante della revoca, che con il Milleproroghe non modificato resterebbe a disposizione. In più – è il ragionamento – l’articolo 35 fa venire meno la possibilità per Atlantia di restituire la concessione. Secondo punto: il tema della revoca deve scomparire definitivamente dal dibattito pubblico e dalle intenzioni del governo. Terzo punto: la revisione al ribasso delle tariffe voluta dall’esecutivo, unita al piano da 7,5 miliardi di investimenti in manutenzione della rete deciso da Aspi, rischia di mettere la società in una fase delicatissima di tensione finanziaria. Il sistema tariffario è ancora incerto e questo, in fase di vendita, è un elemento che disorienta l’acquirente perché le tariffe hanno nella pancia il tasso di remunerazione, cioè gli incassi. Se cambiano le regole, cambiano anche gli incassi e quindi il rischio è di ritrovarsi con azioni dal valore più alto o più basso rispetto al momento dell’acquisto. Quarto punto: la nuova governance deve essere equilibrata e quindi Atlantia vuole rassicurazioni in tal senso dai nuovi soci.
Tutti questi punti dicono che così non si può dare seguito alle condizioni poste dal governo. Ecco perché i dieci giorni che l’esecutivo si è autopromesso di darsi per chiudere la partita rappresentano un elemento di auspicio, tutt’altro che perentorio. Qualcosa potrebbe muoversi da qui a fine febbraio. Ma qualora la trattativa dovesse instradarsi su un sentiero comune, la partita sarebbe ancora lunga. I nomi dei nuovi soci di Autostrade sono solo scritti sulla carta.
L’HUFFPOST
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