Rappresentazione di una crisi
Letta con le categorie di una volta, della politica come razionalità e delle antiche consuetudini repubblicane, la dinamica racconta di una crisi politica di fatto, perché non c’è più una coalizione intesa come programma, vincolo politico, disciplina: la certificano i voti di Renzi con le opposizioni e le parole di Conte. Tuttavia sempre secondo quelle categorie, la giornata di oggi avrebbe già fornito elementi sufficienti per prenderne atto. Per comprendere quel che sta accadendo, come ciò che è accaduto nell’anno precedente del governo gialloverde, occorre invece liberarsi degli studi e delle sedimentazioni profonde, e interpretare la crisi come rappresentazione. Come wrestling giocato soprattutto sul terreno della comunicazione.
In fondo, fate attenzione, Renzi ha picchiato, ma non ha in definitiva fatto così male, perché è vero che i suoi ministri non sono andati al cdm, ma sarebbe stato più doloroso per tutti se fossero andati e avessero votato contro. Sarebbe stato impossibile non prendere atto della crisi, salendo al Colle. E in fondo, fate attenzione anche qui, anche Conte ha picchiato a parole, ma non ha scelto uno strumento che drammatizza la conta. Avrebbe potuto, ad esempio, optare per un disegno di legge ad hoc e metterci la fiducia.
E questo non è accaduto perché Conte sa che se esce da palazzo Chigi non ci torna più. E Renzi sa che lo sa, e sa che non tutti i suoi nei gruppi parlamentari lo seguirebbero sulla strada di far cadere il governo, per questo gli ultimatum non sono mai tali ma sempre penultimatum, che consentono sempre un margine di ripresa, dando in pasto alle tifoserie le botte ma senza farsi male più di tanto. E tutti sanno che tra un paio di mesi, dopo il referendum sul taglio dei parlamentari, è pressoché impossibile che si vada a votare perché prevale ancor di più l’istinto di conservazione. E nel frattempo ci sono le nomine, cemento di ogni governo, luogo di compensazione di parecchi malumori e aggressività. La volta scorsa proprio le nomine furono una delle ragioni che spinsero Renzi a far cadere Letta, e in quella partita riuscì a fare asso pigliatutto. Ora solo a marzo si rinnovano i vertici di Eni, Enel, Leonardo, Poste. In parecchi pensano che il vero tavolo che sta a cuore all’ex premier sia questo, più che una norma che stoppa la prescrizione dopo una condanna di secondo grado.
E non è un caso che Nicola Zingaretti si è tenuto alla larga dalle polemiche di giornata, presentando il suo programma per l’Italia, invitando a procedere con maggiore decisione alla verifica di governo, e annunciando una mobilitazione nella società italiana. È anche un modo per riportare un po’ di principio di realtà in una discussione lunare perché i governi hanno senso se fanno le cose. Non è sembrato uno che vede una crisi imminente. Vede la paralisi, come effettivamente è.
L’HUFFPOST
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