Catena Fiorello: «Rosario mi consigliava di cambiare cognome»

Ma è una storia vera?
«No, ma ne raccoglie tante ascoltate negli anni. Da ragazzina in estate vedevo gli emigranti che tornavano dalla Svizzera e dalla Germania con l’auto carica, gli sterzi foderati con pellicce di leopardo, i portafortuna che pendevano dagli specchietti. Avevano il loro mondo. E i figli spesso li lasciavano in Sicilia».

Ora parliamo di lei.
«Ho condotto dignitosamente programmi, ma non ho fatto niente per fare tv, consapevole che era pericoloso perché domani avrebbero detto che sono raccomandata dai due fratelli famosi. Rosario mi consigliò di usare lo pseudonimo, gli risposi: il nostro cognome ce l’ha dato papà. I libri mica me li scrive Fiorello, né lo porto alle presentazioni. In Italia si vive sulle raccomandazioni, non si può credere che uno possa andare per la sua strada. Ci ho messo otto anni a fare questo film, perché è cinema d’autore e non una commedia ridanciana. Oliver Stone al Festival di Taormina mi disse: mi porterò dietro l’intensità dello sguardo della Picciridda».

Lei cominciò accanto a Rosario.
«Vent’anni insieme. Si creò un vuoto, lui “lasciò” Cecchetto, mi chiese di dargli una mano come assistente. Andavo in banca per lui, gli facevo la spesa e da avvocato… Eravamo come una ditta. Mi sono divertita, ho imparato tutto da mio fratello. Ero specializzata nei “no”. Mike Bongiorno voleva fare un programma negli Stati Uniti con Rosario, che ha la fobia degli aerei, non sapevo come dirglielo. Mike fu comprensivo».

Cosa pensa di suo fratello a Sanremo?
«Ha partecipato a una festa per celebrare il suo amico Amadeus. Poi, la vera modernità sarà quando noi donne non saremo costrette a fare i monologhi per dire: guardate che ci siamo anche noi. Se Rula Jebreal deve raccontare quella bella storia drammatica per attirare l’attenzione, tutta questa parità non c’è. E se Diletta Leotta dice che la bellezza è un dono, non aggiunge qualcosa alla buona causa delle donne. Quanto al Festival, ci ricorderemo del look di Achille Lauro e amo il vincitore Diodato, ma le canzoni eterne sono quelle di De André e di Mina».

Lei è competitiva?
«No, non ce l’ho ‘sta cosa, lascio tutto al destino. Una cosa rimprovero a tanti critici: se i miei fratelli gli stanno antipatici, senza nemmeno sapere cosa c’è scritto stroncano i miei libri. Si fanno le recensioni tra di loro, si autocelebrano, non accettano che in famiglia tre persone facciano lavori diversi nello spettacolo. E allora i figli di Ugo Tognazzi? Io sono felice di essere una outsider».

Ha detto che i suoi fratelli sono maschilisti.
«No, hanno frainteso. Dico che la società è maschilista. Beppe si infastidisce se parliamo di noi tre e blocca in partenza le domande. Io rispondo: vuoi sapere cosa facevamo da ragazzi? Quello che facevi tu, con tuo fratello e tua sorella. Ma io sono quella di mezzo, poi c’è mia sorella Anna che ha un negozio di ceramiche siciliane a Roma, ed è una artista a suo modo».

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