Renzi e il governo, logorare e frenare

Non si può sottovalutare l’impatto devastante che la ricerca di maggioranze raccogliticce avrebbe; né l’insistenza provocatoria con la quale le truppe renziane votano con l’opposizione su materie come la prescrizione. Ma la strategia del logoramento è stata evidente fin dalla nascita del governo, da parte di Italia viva. E il tentativo di uscire dal vicolo cieco in cui si è infilato il suo leader proponendo un governo istituzionale e il «sindaco d’Italia» eletto direttamente sa tanto di mossa disperata.

Riflette l’illusione di vedersi riconosciuta una centralità che nessuno sembra disposto a dargli; e soprattutto di nobilitare una marcia indietro tipica di chi ammette implicitamente di avere bluffato, portando il Paese sull’orlo dell’instabilità. Si tratta di un atteggiamento dal quale il renzismo non riesce a liberarsi dalla sconfitta nel referendum costituzionale del dicembre del 2016. E grazie al quale il populismo che oggi Iv indica come inquinante per il Pd e dominante nel governo, ha potuto vincere nelle Politiche del 2018 con il Movimento Cinque Stelle; e riaffermarsi con la Lega di Matteo Salvini alle Europee dello scorso anno.

Proclamare, come fa Renzi, di non volere essere «la sesta stella» del M5S, e di non volere «morire grillino», è una comprensibile preoccupazione. Tuttavia, non capire che il suo comportamento è da involontaria «sesta stella», e che le picconate alla stabilità non sono una sublimazione di furbizia ma un regalo agli avversari e un danno al Paese, appare preoccupante. Se poi fosse vero che la tregua abbozzata ieri è solo temporanea, c’è da essere allarmati. Non si può escludere che dopo il referendum di fine marzo sul taglio dei parlamentari riprendano con rinnovato rigore la guerriglia di logoramento e il tiro al bersaglio contro Palazzo Chigi.

Già l’idea di sfiduciare il Guardasigilli dei Cinque Stelle, Alfonso Bonafede, ma «a Pasqua», ne è un annuncio. Non è solo coazione a ripetere ma incapacità di adattare le proprie ambizioni a una realtà di partito marginale nella maggioranza e nel Paese, seppure gonfiato in Parlamento da un manipolo di fedelissimi. La stessa pretesa di dettare l’agenda delle riforme istituzionali a un’Italia intrappolata nella crisi economica, e bisognosa di rimedi e programmi chiari su questo terreno, conferma una marcata distanza dai problemi veri.

Giocare allo sfascio può avere effetti imprevedibili. Se anche si vota «solo» nel 2021, conterà il modo di arrivare alle urne; e dimostrare di avere contribuito non a destabilizzare e indebolire il Paese, ma a puntellarlo in una situazione proibitiva. Banalmente, gli elettori si chiederanno chi ha cercato di assecondare l’interesse generale e non ambizioni personali sempre più sconnesse dalla realtà. Per prendere voti bisogna non solo mettersi in vetrina, ma superare diffidenze che invece si sono inspessite tra gli alleati e soprattutto nell’opinione pubblica.

CORRIERE.IT

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