Per un pugno di nomine
Per questo Conte ha finalmente reso noto il segreto di Pulcinella. Ovvero che l’opzione per stanare l’avversario interno sarà un voto proprio su quel nuovo programma definito da tutti i partner della maggioranza. Infilato probabilmente in una risoluzione, una soluzione tecnica proprio in queste ore al vaglio del ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, che non prevede un voto di fiducia. Non abbastanza per poter legare le mani ai renziani, sufficiente per costruire una narrazione da impegni traditi davanti alle Camere e al paese in caso di rottura. Così come il premier ha fatto spallucce di fronte alla pistola scarica del governo istituzionale che faccia la riforma del sindaco d’Italia, una trovata squadernata da Renzi mercoledì a Porta a Porta che sembra già morta nella culla, così il leader di Italia viva non considera un eventuale voto parlamentare come il redde rationem finale.
Un gioco delle parti utile a tirare su una cortina fumogena sulla vera posta in gioco: le oltre 400 nomine in ballo nelle prossime settimane, e la futura legge elettorale. Sul primo fronte Renzi ha già bloccato il board dell’Agcom, che doveva essere votato in Parlamento questa settimana. “Non è possibile che le facciano senza considerarci nemmeno”, il ragionamento fatto ai suoi. Proprio oggi il pentastellato Stefano Buffagni ha messo in chiaro che su tutto il comparto energetico, da Enel a Eni passando per Terna, i 5 stelle vogliono dire la loro. È in ballo una considerevole fetta della prossima architettura del potere nel paese. Renzi vuole garanzie di essere trattato come parte in causa nell’assetto complessivo, e non semplice sparring partner. Conte punta a un accordo che non sovrastimi la rappresentanza di Iv, ma chiede assicurazioni che eventuali fibrillazioni sul pacchetto non diventino pretesto per rendere il percorso del governo un campo minato.
Sembra più a portata di mano un’intesa sulla legge elettorale. In cambio di una rinuncia renziana a ambiziosi piani di riforma elettoral-istituzionale, gli altri partner della maggioranza dovrebbero essere convinti ad abbassare la soglia di sbarramento al 4%, senza però intaccare l’impianto proporzionale e il modello “spagnolo” di distribuzione dei seggi, che garantisce pur se a macchia di leopardo un effetto che favorisce i partiti maggiori. Può sembrar poco un punto in meno, può essere questione di vita o di morte per partiti accreditati di percentuali che si aggirano intorno a quelle di Iv.
Una trattativa che tiene dentro anche le rispettive ambizioni sul futuro, dai mesi che verranno alla prossima legge di stabilità, estendendosi fino alla decisiva elezione del presidente della Repubblica e, ovviamente, alla data delle future elezioni politiche. Siamo solo all’inizio.
L’HUFFPOST
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