Unire le forze per sconfiggere il nemico

Nonostante i meriti acquisiti in più di settanta anni di attività (la sua «costituzione» risale al 1946, il suo funzionamento al 1948), nonostante che vi aderiscano oggi 150 Stati, che vi lavorino 7 mila persone, distribuite in sei diverse «regioni» (i continenti), nonostante che abbia un’Assemblea rappresentativa di tutti gli Stati membri, un esecutivo di 34 persone elette dall’Assemblea e un Direttore generale (oggi un ricercatore e politico etiope), nonostante i successi ottenuti (ha sradicato o fortemente contenuto poliomielite, vaiolo, colera, peste, febbre gialla, tifo, malaria, Aids, tubercolosi), l’Organizzazione mondiale della sanità ha un bilancio annuale di soli 2,2 miliardi di dollari (metà del costo di un grande ospedale di New York), tanto che per affrontare il coronavirus ha dovuto iniziare una raccolta di fondi, e, principalmente, è dotata di poteri insufficienti.

Quello dei poteri dell’Oms è il punto dolente: può promuovere la raccolta di studi, dare direttive tecniche, consigliare, monitorare, informare la stampa, istruire la popolazione, emanare istruzioni tecniche, regolare la farmacopea, certificare la qualità dei farmaci, dare l’allarme e mettere sull’allerta, ma incontra limiti quando si tratta di interventi di vera e propria polizia sanitaria. Eppure, in altri campi, come quello del terrorismo globale, si è trovato modo di superare le difficoltà di dare ordini persino agli Stati, con nuove e più elaborate forme di cooperazione (un organo internazionale individua le persone sospette e detta le misure da adottare, organi nazionali provvedono ad eseguirle).

La sanità globale è un bene troppo importante per lasciarlo nelle sole mani degli Stati, prigionieri dei risorgenti sovranismi, e dei servizi sanitari nazionali (che sono necessari, ma non sempre sufficienti). La salute è un diritto umano fondamentale, assicurato a livello internazionale. I virus, come i terroristi, non rispettano le frontiere, anche le più controllate. Ergere barriere non serve, salvo che non ci si riduca a forme nuove di economia curtense. Serve invece rafforzare la cooperazione internazionale, seguire l’esempio dato, in Italia, da politici di parti tanto opposte, il ministro Speranza e i presidenti Fontana e Zaia.

CORRIERE.IT

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