Senza catena di comando
Può succedere, in tempi normali, di sbagliare una frase, soprattutto all’ennesimo intervento in tv, in ogni contesto, compreso il salotto di Barbara D’Urso, “presidente possiamo darci del tu, ti chiamo Giuseppe”. In tempi eccezionali, quando accade, nel gioco di reazioni a catena, produce un meccanismo perverso in cui paura e sindrome da palcoscenico si alimentano fino al cortocircuito. E poiché Conte dal palcoscenico non vuole scendere, ci vogliono salire anche gli altri. E poiché nemmeno gli altri scendono, ci resta anche il governo.
È anche qui il conflitto con le regioni che nelle ultime quarantott’ore ha conosciuto prima un’escalation, poi una fragile e parziale tregua, alimentando un complessivo senso di inquietudine, perché è difficile chiedere agli italiani di “non farsi prendere dal panico” trasmettendo, al tempo stesso, messaggi di isteria decisionale. Riassumiamo. Prima l’escalation di una dichiarata “autonomia virale”, con i governatori di mezza Italia, anche nelle zone non colpite dal virus, pronti a firmare una propria ordinanza, per chiudere i confini agli ingressi dei lombardi e dei veneti. Poi la minaccia di Conte, sempre da qualche studio televisivo, che si dice “pronto”, di fronte un quadro a così caotico a “varare misure che contraggano le prerogative dei governatori”. Infine, l’immagine – iconica – del governatore della Lombardia che, a un certo punto, si alza e se ne va dalla riunione convocata in videoconferenza da palazzo Chigi con tutti i governatori, accesa dall’altra infelice frase del premier sulle responsabilità dell’ospedale di Codogno in materia di protocolli da seguire.
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