È di nuovo 29 febbraio, il 2020 è bisestile: la leggenda nera del “sesto bis”
E proprio alla fatidica data del Regifugium Cesare, riformando l’ antico calendario, aggiunge un giorno ogni quattro anni. Deve però fare i conti con la nota predilezione delle potenze infere per i numeri pari. I giorni di febbraio devono dunque restare ventotto. Il fondatore dell’ impero salva allora capra e cavoli raddoppiando il giorno sesto. Nasce così il bisesto. Ovvero il sesto bis. Da questo antico groviglio di simboli, di credenze, di calcoli, di superstizioni deriva quella legittima suspicione che nutriamo ancora oggi nei confronti del febbraio con ventinove giorni. Non temiamo certo di urtare la suscettibilità di Proserpina e Plutone.
Ma continuiamo ad attribuire un surplus di significato a questa anomalia del tempo. A questo zoppicamento che richiede di essere corretto con un artificio che faccia camminare il calendario con passo regolare, mettendogli una stampella per riallineare l’ incedere dei giorni e delle stagioni. Non è un caso che i popoli più diversi rappresentino l’ andatura difettosa del tempo come uno zoppicamento che va corretto. Come se l’ anno di tanto in tanto andasse in asincrono e fosse necessario scongiurare questa ferale aritmia con una sorta di ortopedia simbolica. Dalla danza claudicante della Cina tradizionale ai saltellamenti descritti negli antichi testi talmudici, fino ai salterelli rituali dell’ Europa moderna.
In tutti i casi si scongiurava il pericolo di un passo irregolare dell’ anno mettendolo in scena attraverso un esorcismo ritmico. Sostituendo i cicli della natura con quelli della tecnologia, i tempi astronomici con quelli elettronici, ci siamo liberati dalle stagioni dei nostri padri ma non dalle loro superstizioni. Semplicemente abbiamo tradotto le antiche credenze popolari in inquietudini postmoderne. E nonostante il tempo non ci basti mai, non siamo contenti di avere in agenda quella pagina in più. Fosse almeno festivo, il giorno bisesto sarebbe meno indigesto.
(questo articolo è stato già pubblicato sull’edizione di Repubblica del 30 dicembre 2007)
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