Galli: «Il Coronavirus in Italia da settimane. Uno tsunami per il sistema sanitario»
ROMA — Mentre parliamo al telefono per analizzare l’impennata dei casi di Covid-19, il professor Massimo Galli— primario infettivologo dell’ospedale «Sacco» di Milano — è in reparto, costretto a interrompere tre volte la conversazione per rispondere ai colleghi di altre strutture che chiedono di potergli inviare pazienti gravi: «Quello che lei sta ascoltando in tempo reale vale più delle mie risposte. Siamo in piena emergenza. Sì, sono preoccupato».
Come si spiega questa impennata di contagi?
«È
accaduto quello che molti di noi temevano e speravano non accadesse. Il
virus ha dimostrato di aver eluso i criteri di sorveglianza. L’epidemia
ha a tutti gli effetti conquistato una parte d’Italia. Ci troviamo a
dover gestire una grande quantità di malati con quadri clinici importanti.
Sta succedendo qualcosa di grave, non soltanto da noi ma anche in
Germania e Francia, che potrebbero ritrovarsi presto nelle nostre stesse
condizioni e non glielo auguro. Stiamo trattando una marea montante di
pazienti impegnativi».
A cosa è dovuta questa esplosione di casi?
«I quadri clinici gravi non fanno pensare che l’infezione sia recente. È verosimile che i ricoverati abbiamo alle spalle dalle due alle quattro settimane di tempo intercorso dal
momento in cui hanno preso il virus allo sviluppo di sintomi molto
seri, dalla semplice necessità di aiutarli con l’ossigeno fino a doverli
assistere completamente nella respirazione».
C’è chi ha paragonato questa malattia all’influenza. Accostamento incauto?
«Chi
ha cercato di infondere tranquillità, e li capisco, non ha considerato
le potenzialità di questo virus. In quarantadue anni di professione non
ho mai visto un’influenza capace di stravolgere l’attività dei reparti
di malattie infettive. La situazione è francamente emergenziale dal
punto di vista dell’organizzazione sanitaria. È l’equivalente dello
tsunami per numero di pazienti con patologie importanti ricoverati tutti
insieme. Le descrivo la giornata di venerdì, prima che arrivasse la
nuova ondata di casi. In Lombardia erano 85 i posti letto occupati da
malati intubati con diagnosi di Covid-19, una fetta molto importante di
quelli disponibili. Per non contare il rischio di contagio al quale sono
esposti gli operatori. Un carico di lavoro abnorme».
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