È necessario un cambio di passo

L’emergenza sanitaria non può diventare l’alibi per finanziare tutto ciò che andrà fatto — e che, sia chiaro, deve essere fatto — solamente col ricorso al deficit. Far tesoro della lezione del coronavirus significa cogliere l’occasione per rideterminare le priorità della spesa pubblica e recuperare risorse dal taglio degli sprechi. È evidente, per esempio, che bisognerà ragionare di programmazione del sistema sanitario pubblico in termini diversi dal passato. Rimediando ai gravi errori compiuti. È appena il caso di ricordare, infatti, che già prima del coronavirus l’Italia aveva scoperto, dopo che per anni si era detto il contrario, di avere una grave carenza di personale medico e paramedico (aggravata, va sottolineato, dall’improvvida Quota 100), tanto che con il decreto legge Milleproroghe il governo ha previsto la possibilità per i camici bianchi di restare al lavoro fino a 70 anni anche dopo aver superato i 40 anni di servizio.

In questo senso anche il Documento di economia e finanza di quest’anno dovrebbe essere diverso. Mai come questa volta è infatti necessario uscire dalla «burocrazia del Def». Quella procedura che impone al governo di approvare entro il 10 aprile scenari e previsioni di crescita per quest’anno e per i prossimi appare più inutile del solito. Già sappiamo che qualunque numero verrà scritto nelle caselle del Pil e dei saldi di finanza pubblica per il 2020-23 sarà quanto mai aleatorio. E sarebbe quindi davvero surreale assistere poi al solito tira e molla con la Commissione europea su questi numeri. Serve un cambio di passo. In Italia e in Europa. Le migliori intelligenze vanno impegnate non tanto a costruire scenari di carta, quelli solitamente contenuti nel Def appunto, quanto a misurarsi con le scelte davvero importanti da compiere davanti a una realtà che ci richiama all’essenziale. Cambiamento climatico, trend demografici, variabili sanitarie, trame terroristiche condizionano ormai le nostre vite quotidiane più che andare in pensione qualche anno prima o litigare sull’apertura dei negozi la domenica.

CORRIERE.IT

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