Coronavirus, Gentiloni: «L’Italia non sarà lasciata sola. E ora pensi al rilancio dell’economia»
Vede un rischio di recessione nell’area euro?
«Nelle
nostre valutazioni attuali non ci sono scenari del genere. Ma
ricordiamo com’è cambiato la situazione nell’ultima decina di giorni.
L’Ocse il 2 marzo ha già ridotto la previsione di base della zona euro a
una crescita dello 0,8. Dobbiamo continuare a monitorare gli sviluppi e
agire per scongiurare scenari di recessione».
L’allarme c’è, ma da
Unione europea e area euro non si vedono segnali di una reazione comune.
C’è qualcosa che si può fare insieme?
«È evidente che serve
una risposta globale, sia sul piano sanitario e delle politiche di
contenimento del virus, che su quello economico. Triste constatare che è
servito il coronavirus per riscoprire l’importanza del
multilateralismo. Sono impegnato personalmente nel G7 e nel G20 per
contribuire a una risposta globale. Considero positivo l’esito della
conference call del G7 a cui ho partecipato oggi (ieri, ndr)».
Ma intanto l’area euro non può battere un colpo?
«Non
sfuggo alla domanda. È noto a tutti, o dovrebbe esserlo, che abbiamo
una politica monetaria unica e 19 politiche di bilancio diverse. Questo
non può essere un alibi, anche se fino a qualche giorno fa ci si
accapigliava qui a Bruxelles per un bilancio dell’Unione europea che
vale l’1% del suo Pil. Non si può chiedere alla Ue di salvare l’economia
con un colpo di bacchetta magica. Ma ci sono 19 politiche di bilancio
da coordinare: se non ora, quando? Vanno coordinati e usati, se e quando
necessario, gli strumenti a disposizione per difendere la crescita e il
lavoro. È il mio impegno».
Pensa a qualcosa in particolare?
«Questa
crisi sanitaria incide all’inizio molto sul lato dell’offerta, frenando
le catene globali del valore. Poi coinvolge anche le politiche di
sostegno alla domanda, consumi e investimenti. Faremo una prima
valutazione con l’Eurogruppo in teleconferenza (previsto oggi, ndr).
Che misure vede come più importanti da coordinare?
«Al
momento, direi: sostegno ai sistemi sanitari, fronteggiare i rischi
occupazionali straordinari, evitare crisi di liquidità delle imprese.
Naturalmente in base agli sviluppi potrebbe rendersi necessario
condividere e coordinare anche misure più ampie: misure più generali di
bilancio, espansive e anticicliche, per restituire fiducia a famiglie e
imprese. Questo secondo tipo di interventi andrà valutato in base
all’evolversi della crisi. Mentre sul primo tipo, bisogna iniziare a
discuterne da subito».
L’Italia ha annunciato un pacchetto da 3,6 miliardi,
che voi autorizzerete. Probabile che non basti, servirà di più. C’è un
limite al deficit che può fare, anche in base a «circostanze
eccezionali»?
«Dalla Ue viene un messaggio di solidarietà,
comprensione e vicinanza. Valuteremo la richiesta italiana di far
ricorso alla clausola delle “circostanze eccezionali” sui saldi di
finanza pubblica con questo spirito positivo. Le misure poi devono
essere correlate a queste circostanze. Ulteriori interventi andranno
coordinati e decisi a livello europeo e saranno oggetto delle prossime
riunioni. Però sull’Italia vorrei aggiungere qualcosa, se posso: dobbiamo
avere la consapevolezza che le nostre difficoltà vengono da lontano e
quindi, aldilà delle spese per fronteggiare l’emergenza, all’Italia
serve un piano di riforme e di rilancio dell’economia. So che il ministro Roberto Gualtieri ci sta lavorando».
Non è un momento un po’ difficile per pensarci?
«Noi
italiani abbiamo bisogno di ritrovare fiducia e questo vuol dire in
primissimo luogo fronteggiare l’emergenza, certo. Ma poi vuol dire anche
puntare a una crescita sostenibile e compatibile con la necessità di
tenere sotto controllo il debito, avviandolo su una traiettoria
discendente. È essenziale per rassicurare imprese e famiglie».
Siamo in uno spazio europeo di libera circolazione, ma ogni Stato ha i suoi standard sanitari. Ha senso?
«Ci
troviamo di fronte a un problema, chiaro. La gestione dei sistemi
sanitari è prerogativa degli Stati e resterà tale. Ci sono differenti
situazioni e approcci in Europa come all’interno dell’Italia stessa. Noi
alla Commissione facciamo un’opera di coordinamento molto utile. Ma
eventuali chiusure di confini non sbarrano la porta al coronavirus, mi
auguro che tutti se ne rendano conto».
Il modo in cui la Grecia sta bloccando i rifugiati in arrivo dalla Turchia, con aggressioni alle zattere in acqua e lacrimogeni sulla famiglie nella terra di nessuno sul confine, fanno pensare che Matteo Salvini sta andando a processo per aver fatto forse qualcosa meno di questo, quando bloccava in mare le navi delle Organizzazioni non governative. Ma le massime autorità europee sono andate sul confine greco a dare sostegno a un governo che agisce così. Cosa ne pensa?
«I nostri principi sono chiari. L’Europa non deve chiudersi, non deve tradire i propri principi umanitari. Quando ho avuto responsabilità di governo, ho sempre cercato di attenermi a questi valori. Qui tuttavia bisogna guardare la realtà di ciò che sta succedendo. C’è un Paese che spinge migliaia di persone dal proprio territorio verso un Paese confinante. Tra l’altro, non siamo oggi in grado di dire con certezza da dove provengono queste persone. È comunque inaccettabile che dei profughi vengano utilizzati da un governo come arma nei confronti di un altro paese confinante, che è quello che accade su quella frontiera. Questo è il motivo per cui (la presidente della Commissione, ndr) Ursula von der Leyen, (il presidente del Parlamento europeo, ndr) David Sassoli e (il presidente del Consiglio europeo) Charles Michel sono andati in Grecia. Sono consapevole del peso che sulla Turchia ha la presenza di rifugiati, ma penso che questo non autorizzi le autorità turche a usarli come arma impropria nei confronti di un loro vicino. L’Unione europea lavora su due fronti: il primo è quello umanitario, per evitare che ci siano su questo piano delle conseguenze inaccettabili: il commissario europeo che si occupa di gestione delle emergenze, Janez Lenarcic è andato lì. Contemporaneamente stiamo cercando di riavviare un filo di dialogo fra Atene e Ankara, unico modo per risolvere questa crisi. Il punto è che qui c’è un’operazione chiarissimamente gestita da un Paese contro un altro Paese, ed essendo quest’ultimo membro dell’Unione europea non credo che possa essere sottovalutato o ignorato. Pur nel rispetto dei principi umanitari che tutti dobbiamo seguire».
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