Isteria da virus

Non un gesto di insofferenza, non un momento di alterazione collettiva. Il problema è la testa, non il corpo, che dall’inizio di questa storia, tra cambi di registro e annunci sui giornali, ha proceduto in modo poco ordinato, arrancando nello stress e nell’ansia da rincorsa della realtà.

In un primo momento Conte l’ha cavalcata pensando che l’emergenza potesse essere un’opportunità per legittimarsi di fronte al Paese, quando ancora si viveva in un clima da imminente crisi di governo, auto-inducendosi un isolamento internazionale con l’Iraq e l’Eritrea che hanno chiuso i voli. Poi la svolta al contrario, in termini di minimizzazione, di fronte all’impatto in termini di immagine e di Pil, col Corona virus diventato “poco più di una influenza”. Si arriva, in ultimo, alle misure draconiane su partite di calcio e alle scuole, che trasformano l’Italia in una grande zona gialla e rossa, giallorossa, come il governo che ha impugnato qualche giorno fa la decisione del governatore delle Marche di chiudere le scuole, facendola bocciare dal Tar, per poi fare proprio come il “bocciato” aveva fatto.

È il quadro di una confusione sistemica, in termini di decisione e di immagine, accompagnata da una costante recita a soggetto dei singoli: la Azzolina che smentisce una decisione che sarà presa, Patuanelli che annuncia la sua quarantena pur non essendo positivo (fortunatamente senza mascherina), Conte che, dopo essere andato dalla D’Urso in maglioncino, solo oggi registra via facebook un messaggio, che non ha la solennità di un discorso di verità alla nazione, ma almeno è in giacca, cravatta e bandiera italiana ed europea alle spalle. La politica¸ il più grande strumento di servizio per il Paese, mostra, proprio nel momento più difficile, fragilità e subalternità al circo mediatico.

In questo contesto, la grande “serrata nazionale antivirale” con la chiusura delle scuole e le porte chiuse alle partite è un ulteriore tassello della confusione. Nell’ambito del cortocircuito di una catena di comando che non c’è, tra protezione civile debole, governo incerto e nervosismo delle regioni, alla fine si è scelto di  affidarsi ai pareri degli scienziati più prudenti, come nel caso dell’Istituto superiore di Sanità. Ma non è un parere unanime, perché il “comitato scientifico” nominato dalla protezione civile esprime una neutralità a riguardo, ritenendo la misura non necessaria al momento. Una sorta di cessione di sovranità che rivela un’ansia crescente, fondata sul timore del “collasso” delle strutture sanitarie di fronte al dilagare dei contagi.

Tutto racconta dell’assenza di una solida bussola decisionale e di una sovrapposizione di piani senza un baricentro. Più di un ministro del Pd, a ragione, e si tratta di quelli che provengono da una scuola politica più solida (non tutti sono scivolati di fronte alle telecamere) ha fatto notare al premier che, di fronte a una emergenza, palazzo Chigi non può essere il luogo di un dibattito permanente in cui tutti parlano di tutto, a prescindere dalle proprie competenze. Occorre una catena di comando certa, dove ognuno fa il suo mestiere. E il premier si occupa di tenere unito il paese e indica una direzione, anche sull’economia perché, in questi casi, non c’è una politica dei due tempi “prima la salute, poi l’economia”, ma le due cose vanno di pari passo, nella misura in cui la recessione non né un antivirale né una cura. Tra il proliferare di sigle, esperti, voci, istituzionali e non, Istituto della sanità, protezione civile, ministri che quotidianamente dicono la propria, manca una figura, tecnica o politica, che si occupi della sensibilità del paese, delle sue domande, delle sue paure, della sua vita destinata a mutare anche dopo la fine di questa emergenza, come dopo una guerra. Perché di questo si sta parlando, non di una verifica di governo.

L’HUFFPOST

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