Le cinque lezioni
di Antonio Polito
Quando tutto questo sarà finito, perché prima o poi finirà, ci saranno lezioni da ricordare. Alcune, le più importanti, riguardano il significato della vita, l’idea che abbiamo di noi stessi, la pretesa di invulnerabilità e di onnipotenza che ci hanno dato la scienza e la tecnologia e che un minuscolo virus è bastato a scuotere. E sono lezioni di ordine esistenziale, culturale, religioso. Però poi ci sono lezioni per la comunità in cui viviamo, che richiedono risposte politiche, legislative, sociali. Può forse valere la pena, anche se ancora nel pieno dell’emergenza, cominciare a prendere appunti, a stendere un promemoria per il domani.
La prima lezione riguarda il nostro sistema di sanità pubblica. Ha bisogno di investimenti massicci, sia per l’ordinarietà sia per l’emergenza. Non tutto si può fare in deficit. Dunque bisognerà riconsiderare le priorità della spesa sociale. A partire dal 2014 abbiamo investito un totale di venti miliardi annui su misure di welfare come 80 euro, quota 100 e reddito di cittadinanza. Una cifra rilevante. Anche solo una frazione di tutti questi soldi farebbe la differenza per il nostro sistema sanitario, con un risultato per la collettività di maggior valore sociale. Il problema è che la gente non si fida più dei soldi immessi nel «calderone» della spesa pubblica, che finiscono in mille rivoli non sempre produttivi, e preferisce incassare sostegni e sussidi diretti. Si potrebbe allora pensare a una «spesa ipotecata»: ovverosia vincolare un certo investimento a un certo risultato verificabile, per esempio l’assunzione di un numero definito di medici e infermieri, come si sta cominciando a fare in queste ore. Va inoltre chiaramente rivisto il sistema del numero chiuso universitario e dell’accesso alle scuole di specializzazioni: rifiutiamo il diritto allo studio a troppi giovani per difetti del sistema universitario, e così rischiamo di avere sempre meno medici a mano a mano che va in pensione la generazione dei baby boomers.
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