Boom dei surgelati e spesa gratis a domicilio: i consumi ai tempi del coronavirus

Anche chi non aveva un servizio strutturato di consegne a domicilio si inventa soluzioni. È il caso di Bennet che nel comune di Erba recapita la spesa in collaborazione con un network di onlus. È l’Italia che in emergenza cerca di fare sistema. Intanto le aziende — già alle prese con drastici cali di fatturato e un futuro incerto — cercano di attuare una rivoluzione organizzativa. Un esempio per tutti: il quartier generale di San Donato Milanese dell’Eni è deserto. I circa 7.000 dipendenti lavorano tutti da casa dal 26 febbraio. Le grandi imprese che avevano già attivato modalità di lavoro a distanza — da Intesa Sanpaolo a Unicredit, da Siemens a Bayer — sono avvantaggiate: si tratta semplicemente di allargare il circuito dei lavoratori a distanza. Per gli altri è tutto molto più complicato.

C’è poi chi il telelavoro proprio non se lo può permettere: è il caso di fabbriche e servizi al pubblico. Qui la sfida è evitare che qualcuno si ammali perché questo vorrebbe dire interrompere la produzione, come è avvenuto, per esempio, all’Italdesign di Moncalieri, in Piemonte, all’inizio dell’emergenza. Ecco allora che c’è chi, come Abb, chiede ai dipendenti di sottoporsi all’ingresso alla misurazione della temperatura. Il sindacato spesso si oppone. Dove finisce la privacy e inizia la tutela della salute? «L’articolo 2087 del Codice civile attribuisce all’impresa la responsabilità della salute e sicurezza dei dipendenti. Senza contare che ciascuno ha una responsabilità anche nei confronti dei colleghi», fa presente Massimo Bottelli, direttore del settore Lavoro e Welfare di Assolombarda, la territoriale di Confindustria di Milano, Monza, Pavia e Lodi —. Si tratta di valutare con lucidità se in un’emergenza come questa la tutela della salute prevalga sulla privacy». In tutto questo rimescolarsi di compiti e ruoli, ancora trascurato l’effetto coronavirus sul lavoro domestico. «Molte badanti e colf si stanno licenziando per tornare al loro Paese — dicono in Assindatcolf —. D’altra parte temiamo che il bonus baby sitter non generi nuove assunzioni». Morale: tra le mura domestiche, complice anche la chiusura delle scuole, c’è più lavoro da sbrigare. «Speriamo che dall’emergenza nasca una divisione più equa dei carichi di lavoro domestici», si augura Massimo Bottelli di Assolombarda. Un’occasione, nella difficoltà, per diventare un Paese più moderno.

CORRIERE.IT

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