Coronavirus, Messina: Intesa Sanpaolo donerà 100 milioni per cure e ospedali
«Sì, non è semplice anche perché vogliamo legare le nostre donazioni a interventi specifici. Servirebbe una norma che ci aiuti a farlo. A noi e a tanti altri che siamo sicuri seguiranno».
Cioè, ci sono altri pronti a donare?
«Ma scusate, se si muove Intesa Sanpaolo non pensate che altre grandi aziende possano considerare ulteriori iniziative? Noi lanceremo anche una raccolta fondi presso i nostri clienti che vorranno dare il loro contributo. Con lo stesso obiettivo: uscire dall’emergenza e tornare a crescere, il prima possibile».
Ma perché voi?
«È il nostro modo di fare banca, non siamo solo il motore dell’economia ma il principale operatore privato nel campo delle iniziative per il sociale. E, credetemi, i grandi investitori internazionali approvano con convinzione. Ma le nostre misure per l’emergenza non si fermano qui».
Cosa vuol dire?
«Siamo pronti con interventi per l’emergenza economico-finanziaria, il che significa liquidità. Dalla prossima settimana attiveremo finanziamenti fino a 5 miliardi per prestiti a 18 mesi, con 6 mesi di preammortamento, a sostegno delle imprese. Per lo meno 1 miliardo andrà al turismo, il settore che ha subito il maggior impatto. Se il governo ponesse una garanzia pubblica sui nuovi crediti, la cifra salirebbe a 10 miliardi».
Si riferisce alla garanzia per i prestiti alle imprese…
«Certo, porre 1 miliardo a garanzia, che peraltro non peserebbe in quella misura sul bilancio dello Stato, renderebbe possibile l’attivazione di ulteriore credito altrimenti non erogabile, perché destinato ad aziende non finanziabili secondo i parametri di vigilanza. Nel complesso una misura che — se ben congegnata — servirà a far fronte alla crisi e a prendere lo slancio per la ripresa».
Ma intanto perché non applicate la moratoria?
«Lo stiamo già facendo, sia sugli interessi che sul capitale. Ma ora le imprese devono poter pagare dipendenti e fornitori, hanno bisogno di liquidità. Servono misure straordinarie. Aggiungo che la moratoria è prevista anche per le persone, qualora il datore di lavoro, in difficoltà a causa di questa emergenza, non potesse ricorrere ai benefici degli ammortizzatori sociali».
Ma riusciremo a evitare la recessione?
«La situazione purtroppo non riguarda solo l’Italia. Con realismo e determinazione possiamo superare la frenata, alla quale segue sempre un rimbalzo».
Il governo è stato troppo realista?
«Non sta a me giudicare, non è il mio ruolo. La mia parte è quella di fare in modo che una grande banca, tra le maggiori in Europa, quale è Intesa Sanpaolo, sia a fianco del Paese. Di un Paese che ha bisogno di avere fiducia in sé stesso. Nel suo risparmio unico al mondo, nelle sue imprese che nell’export, grazie alla qualità dei prodotti, hanno leadership mondiali».
Sembra però prevalere la paura…
«Se non ci muoviamo, se non si esce di casa, non si consuma, il rallentamento si sentirà. Ma la cura per ogni malattia, anche la più grave, inizia dalla fiducia di potercela fare. Ci siamo dimenticati quante crisi abbiamo superato soltanto negli ultimi dieci anni? E per merito di chi? Delle famiglie, delle imprese, e, mi permetta, anche delle banche sane, oltre che delle istituzioni».
E l’Europa?
«La dimensione di questo fenomeno riguarda l’Europa tutta. E non solo. Ma l’Italia ha in sé la possibilità di farcela da sola. Siamo strutturalmente un Paese forte. Supereremo sicuramente la crisi».
Ma in quanto tempo?
«Non c’è tempo. Bisogna farlo adesso. Mostrare al mondo che siamo forti e reagiamo. Prima di un rialzo significativo dello spread dovuto ai timori sul nostro debito pubblico, non giustificato perché abbiamo sempre onorato i nostri impegni. Dobbiamo evitare questa trappola».
Perché dovremmo riuscirci proprio adesso?
«Abbiamo sempre dimostrato di saper far fronte alle emergenze. Dobbiamo riaprire i cantieri. Sbloccare i progetti infrastrutturali, fermi per ragioni prive di senso. Il modello Genova è lì a dirci che si può fare. Perché non estenderlo a tutto il Paese? Noi siamo pronti a sostenere questo processo con tutta la forza di una banca leader in Europa, con profonde radici nei territori del nostro Paese».
Ma come farete, siete impegnati addirittura nell’acquisizione della quarta banca del Paese…
«L’operazione di fusione proposta da Intesa Sanpaolo a Ubi è un progetto che crede nell’Italia. Trae forza dal radicamento territoriale delle due banche e punta su un Paese in grado di porsi come interlocutore di rango in Europa. La forza di questa offerta è, a mio avviso, proprio il suo contenuto tutto italiano. Le dimensioni servono. Ubi è una banca ben gestita. Ma per realizzare le sue aspirazioni ha bisogno di far parte di un grande gruppo come il nostro».
Ma allora perché alcuni azionisti importanti di Ubi non vi seguono?
«Temono forse il venir meno del legame che Ubi ha con il territorio».
Timore lecito, entrando in una grande banca…
«Sbagliano. Intesa Sanpaolo è la banca dei territori. Siamo cresciuti valorizzando e aggregando grandi banche e realtà locali. È scritto nel prospetto: avremo direzioni regionali a Brescia, Bergamo, Bari e Cuneo, dove Ubi è radicata; alla loro guida ci saranno manager Ubi. Creeremo un polo di eccellenza per l’agricoltura, per l’agritech, con sede a Pavia. Ci saranno 10 miliardi all’anno in più di finanziamenti in tutte queste aree. Nessun imprenditore si vedrà ridurre la somma dei crediti che ha in essere con le due banche. I risparmiatori titolari di azioni Ubi, oltre al premio previsto dal concambio, vedrebbero raddoppiate le prospettive di dividendi attesi».
Non sarà questione di prezzo?
«Su questo voglio essere chiaro: nessun aumento di prezzo. E mi spiacerebbe se qualcuno comprasse azioni sperando in un rialzo. Ma vorrei guardare più in là: data la valenza dell’operazione per il Paese, oltre che per Intesa Sanpaolo e Ubi stessa, ci auguriamo la più ampia delle adesioni, ma — vorrei sottolineare — ne siamo talmente convinti che andremo avanti anche se dovessimo avere il 50,1%. D’altro canto, basta questa quota di controllo a realizzare gran parte delle sinergie previste».
Forse tengono al marchio Ubi.
«È comprensibile. L’importanza dei marchi riflette il legame con i clienti, anche se la forza delle banche è il frutto dell’impegno delle persone che ci lavorano. Per questo assumeremo 2.500 giovani, la metà dei quali nei territori di riferimento di Ubi, mentre le uscite saranno solo su base volontaria. Raddoppieremo gli interventi sociali ora previsti da Ubi. Vogliamo creare una realtà più forte cedendo i crediti deteriorati, i famosi Npl, che appesantiscono Ubi: senza far ciò il loro piano non potrà realizzarsi».
Ma intanto il coronavirus…
«Ripeto, la crisi ci impone di reagire, di ambire a orizzonti più ampi. Il Paese supererà questo momento difficile, ne siamo tutti certi. Nell’emergenza occorre mettere in campo misure straordinarie, per questo diamo il nostro contributo. Guardando avanti, con un progetto per un’Italia più forte in un’Europa che deve essere più unita e solidale».
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