Coronavirus, il dovere essere rigorosi. Niente tragedie, ma dobbiamo cambiare vita

di MICHELE BRAMBILLA

Stanno girando su Whatsapp diversi filmati che rivendicano con orgoglio l’essere italiani. Portano immagini, dati e fatti incontestabili. L’Italia è un grande Paese, e gli italiani sono un grande popolo. È giusto ricordarlo adesso che è evidente quanto fosse immotivato il sarcasmo, a volte il disprezzo mostrato all’estero verso di noi sulla vicenda del Coronavirus. In alcuni Paesi europei, dove è sempre vivo il brutto vizio di trattarci come dei cialtroni, nei giorni scorsi hanno cercato di farci passare per gli untori del mondo. Ora si scopre che sul virus arrivato dalla Cina siamo stati i più seri.

Il nostro governo ha commesso errori imperdonabili all’inizio, quando non ha ascoltato, per pregiudizio ideologico, il grido d’allarme che veniva dalle regioni del Nord oggi martoriate. 

Ma quando si è scoperto il primo contagiato, lo Stato è intervenuto con trasparenza: certo anche in modo confuso nelle prime mosse, ma con trasparenza. Lo stesso non si può dire di quanto avvenuto ad esempio in Germania, dove il primo contagio (il 24 gennaio!) è stato tenuto nascosto. E questo vale per altri Paesi, anche oltreoceano, in cui certo non si fanno i controlli che si fanno da noi. Per paura di paralizzare l’economia si sono fatti passare per normali influenze quelli che erano invece casi di Coronavirus. È stata un’omertà che ha solo rinviato il problema.

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