La buona prova dell’Italia (con qualche errore)

In ogni caso, il problema tutto italiano messo ancor più in evidenza dall’attuale crisi sanitaria si è rivelato quello di un presidente del Consiglio costretto nel momento più difficile della sua vita in cui deve varare provvedimenti d’emergenza che resteranno nei libri di storia, a supplire a un grave deficit di legittimazione popolare (magari indiretta come fu quella di cui godettero, ai tempi della Seconda Repubblica, Silvio Berlusconi e Romano Prodi). Conte ha dovuto «governare per gradi», emanando decreti a ripetizione dopo aver testato le reazioni prevedibili per ogni singolo divieto. Il presidente del Consiglio aveva per di più a che fare con governatori di Regione o sindaci più forti di lui in quanto legittimati, loro sì, da un voto popolare. Consapevole di tutto ciò, l’azione del governo ha subìto un forse inevitabile rallentamento, e Conte si è dovuto ritagliare il tempo per consultare, mediare, cercare compromessi. Nelle pieghe di tale rallentamento, si sono inserite — come era naturale che avvenisse — le fughe di notizie che hanno avuto talvolta provocato un certo disorientamento tra i destinatari delle comunicazioni. E in qualche caso un non imprevedibile caos peggiorato dalla circostanza che spesso le riunioni di governo sono iniziate a sera inoltrata e si sono concluse assai tardi.

È da notare come Conte abbia saputo costruire in questo frangente un particolare rapporto con l’opposizione. Il capo del governo ha sempre preso decisioni che qualcuno — spesso questo o quel leader del centrodestra — aveva suggerito qualche ora o qualche giorno prima di lui. Come se all’opposizione fosse riservato il compito di imporre le disposizioni che comportavano maggiori sacrifici e al governo quello di farle proprie. Ciò ha comportato qualche prezzo. Mai, neanche una volta il presidente del Consiglio ha potuto sorprendere il suo uditorio dicendo: «Ascoltati esperti e competenti, abbiamo preso queste decisioni e non le cambieremo». E pensare che Conte ha rivelato di aver tratto ispirazione dal celebre discorso di Winston Churchill del 13 maggio 1940, quello dell’«ora più buia» con cui il leader britannico (da tre giorni insediato a Downing Street al posto di Neville Chamberlain) annunciò l’intenzione di resistere a Hitler pur consapevole che per questa resistenza il suo popolo avrebbe pagato un duro prezzo in «sangue, sudore e lacrime». Quel discorso divenne celebre per l’uso particolare delle parole messe a disposizione dalla lingua inglese. Poi per l’effetto sorpresa (l’addetto stampa di Churchill non ebbe l’opportunità di anticiparlo ai cronisti amici). E rimase memorabile perché fu unico, quantomeno in quei termini: Churchill non fu costretto ad integrarlo, attenuarlo o indurirlo nei giorni successivi a quello in cui lo pronunciò.

Sarebbe errato però ritenere che i «difetti» sottintesi in queste considerazioni siano riconducibili alla persona del premier. Altrettanto sbagliato sarebbe coltivare l’idea che quei «difetti» derivino dalla scarsità dei voti di cui la maggioranza dispone in Parlamento e conseguentemente possano essere corretti con l’allargamento della maggioranza stessa. Tanto più che il governo non è, allo stato attuale, scalzabile, essendo poco plausibile che a qualcuno salti in mente di aprire una crisi nel corso di un’emergenza sanitaria. Se poi si decidesse di immettere nella coalizione Lega, Fratelli d’Italia con quel che resta del partito berlusconiano, la maggioranza ne uscirebbe indebolita perché la mossa apparirebbe come dettata dalla disperazione. Se ne è avuta una prova quando il costituzionalista Michele Ainis ha proposto di affidare a Matteo Salvini la vicepresidenza del Consiglio. La «provocazione» di Ainis era volta esplicitamente a rinvigorire il governo Conte ma la reazione è stata unanimemente negativa. Si è rivelata altresì inconsistente anche l’ipotesi di rinforzare il presidente del Consiglio affiancandogli un commissario dotato di grande capacità decisionale. Anche ammesso che fosse possibile individuare un tal genere di figura, è chiaro che sarebbe impossibile definire confini nitidi tra il perimetro di attività del super commissario e quello di Conte stesso, nonché di alcuni suoi ministri e di altre figure commissariali già attualmente operative.

Per il resto in questa lunga, probabilmente lunghissima fase che si concluderà solo quando la stagione del Covid 19 sarà alle nostre spalle, non ci saranno iniezioni di cemento che possano rafforzare il governo. Ciò a cui ci potremmo fin d’ora applicare è semmai una riflessione circa l’opportunità di ipotecare i prossimi decenni insistendo sulla via imboccata nove anni fa che ci porta a dar vita a governi frutto di più o meno felici combinazioni parlamentari. Governi che, per loro stessa natura, sono pressoché indifferenti alle opzioni degli elettori, dalle quali non dipende la loro vita. Cosa che però in un frangente come questo può rivelarsi un pregio.

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