L’ora più buia
È su questo crinale molto delicato che si svolge la discussione sulla misura più estrema, che rimbalza dalle dichiarazioni ancora come minaccia, più che come volontà o decisione presa: il divieto di correre nei parchi, un’ultima limitazione delle libertà individuali, ad alto impatto psicologico, sociale, politico. Consentita come una valvola di sfogo e non normata in modo stringente, prevedendo ad esempio solo corse individuali e magari non lontane dal proprio domicilio, la misura sta però aiutando atteggiamenti collettivi disinvolti, da parte di un popolo che pare incapace di rinunciare alle corse di gruppo. È, dicevamo, un crinale molto delicato, perché rischia di rappresentare il fusibile del rapporto di fiducia, alimentando una reazione che, detta in modo un po’ brutale, può suonare così: siccome non puoi dire che sei arrivato in ritardo e dicevi che era solo un’influenza, adesso mi togli anche l’ora d’aria privandomi totalmente della libertà. È per questo che la misura viene paventata come estrema ratio che possa indurre un’autodisciplina senza doverla tradurre in provvedimento. Indicative le parole del ministro Spadafora: “Se l’appello a restare a casa non sarà ascoltato, saremo costretti anche a porre un divieto assoluto”. Parole che, tuttavia, rivelano l’assenza di un messaggio univoco, chiaro, razionalmente argomentato come esigenza dettata dall’analisi della situazione concreta, magari da un check di efficacia delle misure prese. Agli italiani, di cui si lodano i comportamenti “straordinari” non si spiega, in un discorso verità l’inadeguatezza di alcuni comportamenti, ma si consiglia, si ammonisce a parole, facendo leva sull’autodisciplina individuale.
In questo contesto le “strette” sono rimesse alle decisioni dei singoli, per cui parecchi sindaci hanno già chiuso i parchi, con gente che va correre sulle ciclabili (ed è ancora peggio perché c’è meno distanza), altri chiedono un inasprimento delle multe, e alcuni governatori, come De Luca, dispongono la chiusura degli autogrill tranne poi tornare indietro di fronte alla protesta dei trasportatori, che riforniscono di beni di prima necessità, supermercati e ospedali. Perché poi è fisiologico che in questo contesto c’è chi gioca a essere “più realista del re”, mettendosi al riparo, in vista del futuro, da eventuali responsabilità. Non a caso il ministro Boccia ha invitato tutti a concentrarsi sulle misure sanitarie, attenendosi, per il resto, al quadro complessivo deciso dal governo. Il problema è che però quel quadro consente parecchie eccezioni. C’è poco da fare: in una democrazia con scarso senso civico, il bene comune può cozzare con l’impopolarità. Sia come sia, se il punto è un’ulteriore limitazione della libertà, se cioè il punto è fare Wuhan in Italia, siamo dinanzi a una questione che solleva quesiti enormi e una enorme angoscia di fondo. Alla vicenda umana di un popolo, non al destino di un governo, a cui andrebbe quantomeno spiegato il perché, al momento, non si vede la luce in fondo al tunnel e perché scientificamente si impone la necessità di nuove misure. E, ad esempio, il divieto di correre è più efficace del fare tamponi a tappeto.
L’HUFFPOST
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