Coronavirus, la curva dei contagi (regione per regione) e l’attesa del picco. «Non si sa davvero quante sono le vittime»
«Per prima cosa — dice Bucci — abolirei il rito serale dei numeri. Ed eviterei previsioni impossibili». Gianni Rezza, capo del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, ha più fiducia: «In nessuna epidemia sappiamo esattamente il numero degli infetti». Ma qualche conclusione si può trarre. Demicheli è moderatamente ottimista («Il raffreddamento della socialità sta producendo qualche risultato»). Rezza anche, ma è cauto: «Si stanno spegnendo focolai come quello di Codogno e della Lodigiana, ma sono esplosi quelli nella Bergamasca e nel Bresciano. Focolai limitati ci sono anche a Piacenza, in Veneto, nelle Marche, in Piemonte e Calabria». E il famoso «picco»? Per Fabio Divino, associato molisano di Statistica dello StatGroup-19, «lo scenario è promettente. Noi usiamo il modello della Regressione di Poisson, non la scala logaritmica esponenziale». Roba complessa, ma secondo i loro calcoli «il picco in Lombardia è già raggiunto».
Bucci è molto più scettico: «Eviterei l’uso di modelli teorici di tipo predittivo. Non ci sono le condizioni. Meglio lavorare su quello che abbiamo, per descrivere la realtà. La curva dei positivi può dare qualche segnale incoraggiante, ma potrebbe derivare dalla saturazione delle risorse degli ospedali, che non fanno test o non comunicano i risultati». Ha senso cercare un picco nazionale? Per Rezza no: «Bisogna controllare i singoli focolai». Quale sarà l’evoluzione? Demicheli la vede così: «In una popolazione vergine, bastavano pochi casi per far partire l’epidemia. Ora la situazione è cambiata». Perché ai circa 20mila positivi in Lombardia, bisogna aggiungere i sintomatici lievi, che si potrebbero calcolare in 80-100mila. E gli asintomatici. Quanti sono? «Alcuni studi stranieri dicono che sono il 70 per cento — spiega Demicheli —. Nei nostri primi campioni era una percentuale molto inferiore». Sommando tutto, si spera di andare verso l’immunità di gregge: «A quel punto non basteranno due o tre casi per far ripartire il contagio».
Fa impressione l’anomalia del Piemonte, dove oltre l’80 per cento dei positivi è ricoverato, mentre il Veneto è al 22: «Sono dati da maneggiare con cura — spiega Demicheli —. Dipende da dove, a chi e a quanti sono stati fatti i tamponi. Se la politica è di farli a chi è già in ospedale, è ovvio che sarà più alta la percentuale». Si può fare una previsione? «La faremo a fine mese — spiega Rezza —. Ma i numeri saranno buoni solo se rispetteremo le misure di contenimento». Insomma, il risultato di analisi statistiche e modelli matematici è sempre lo stesso: state a casa.
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