Chiusura obbligata
Controversa, perché il premier ha tentato di resistere fino all’ultimo, alla pressione di governatori, amministratori e sindacati, timoroso dell’effetto psicologico che tale misura avrebbe potuto avere sugli italiani e timoroso di compiere una scelta, alla lunga impopolare. Necessaria anche per mettere ordine in un disordine istituzionale pericoloso in una situazione di emergenza: ogni regione che fa una sua ordinanza, producendo così un quadro normativo poco chiaro, insomma una caotica polifonia nel momento in cui occorre una catena di comando corta e regole chiare.
Speriamo non tardiva, dopo settimane di incertezza. Diciamo le cose come stanno, la Casa brucia: lo spaventoso numero dei morti, a quindici giorni dal lockdown parziale, dice che finora la cura non ha funzionato e non poteva essere una risposta la stretta sulle corse al parco, scaricando la responsabilità sull’indisciplina degli italiani.
Il messaggio di Conte rileva questa situazione estrema, anche di stress umano, emotivo, politico di un presidente del Consiglio che, in fondo, è stato trascinato a questa scelta dall’emergenza e dalla pressione ambientale. Ha parlato a cuore caldo, ma con mente non altrettanto fredda, rivelando, al tempo stesso, un tratto umano ma anche una certa fragilità politica. Lo conferma la dimenticanza non irrilevante sul “fino a quando” durerà questa serrata, precisata da una nota di palazzo Chigi che riferisce “fino al 3 aprile”.
Lo conferma la scelta stessa dell’ennesima comunicazione notturna, slittata di un’ora fino alle 23:30, attraverso il solito messaggio via facebook, neanche una conferenza stampa con qualche domanda, per non parlare del fatto che dall’inizio di questa crisi non si è mai presentato alle Camere: più che un solenne discorso alla nazione, profondo e denso di gravitas, un messaggio di emergenza, di fronte alla macabra escalation degli ultimi giorni, con lo spirito del disperato inseguimento a un quadro sfuggito di mano: l’estrema ratio, in un affannoso inseguimento alla realtà prima che sfugga di mano. Si spiega così anche la scarsa precisione, la confusione e la vaghezza nello spiegare ciò che è “rilevante” e ciò che è “accessorio”. Per comprendere l’elenco di ciò che sarà aperto e chiuso occorrerà attendere che sarà messo nero su bianco il dpcm.
Come la prima stretta e come la seconda, la decisione è arrivata dopo il grido di dolore di governatori, dei sindaci del bergamasco, del presidente dell’Anci, Antonio Decaro. E dopo che era stata respinta la richiesta di fermare le fabbriche, quando a chiederlo erano le opposizioni, oggi neanche informate. E appena 24 ore dopo che un’ordinanza del ministro della Salute che vietava le corse al parco. Tutto dà il senso dell’estrema difficoltà del momento, ma anche di una incertezza della tolda di comando, la cui immagine e i cui atti sono propri di chi “insegue” gli eventi.
Adesso che il “modello italiano” non sta funzionando, qualcuno scopre il “modello coreano” con i tamponi a tappeto, dopo aver detto che “era solo un’influenza”, mentre all’interno del governo la confusione è tale che, in questa sorta di cabina di regia insediata a palazzo Chigi con alcuni ministri, non c’è il ministro dell’Interno, che ha appreso dell’ordinanza sui parchi a cose pressoché fatte.
Non è polemica, è la fotografia del processo decisionale. Arriva così la grande serrata: il drammatico paradosso di questa storia è che la soluzione obbligata e, a questo punto, doverosa e senza alternative è il grande alibi collettivo di una intera classe dirigente nazionale, che finora non ha riflettuto un solo minuto su “come” l’emergenza più straordinaria della storia repubblicana sia stata interpretata, da maggioranza e opposizione. E che, a questo punto, può dire, a se stessa e al paese: le abbiamo provate tutte, di più non si poteva fare. E speriamo che funzioni.
L’HUFFPOST
Pages: 1 2