Covid-19: l’arma tecnologica per arginare il virus e gestire il dopo crisi. Come funziona
Cosa dovremmo fare con un’epidemia in corso?
1) Individuati i casi di nuovi contagiati, rintracciare i contatti dei 15 giorni precedenti e testarli per interrompere la catena di contagio.
2) Sapere chi si sposta dal luogo di residenza,
e dove va rispetto alle concentrazioni di contagiati è l’essenziale
fotografia di partenza quando si stabiliscono blocchi alla mobilità.
3) Installare una app che individua «chi» e «dove». Per esempio se risiedi a Milano quartiere Lorenteggio, puoi vedere che al quartiere Sempione ci sono molti casi dichiarati.
4) Mantenere una fotografia «autodichiarata» della localizzazione dei sintomatici non testati aggiornata in tempo reale.
5) Assicurarsi che i contagiati in quarantena non si muovano (si possono metter sotto tracciamento e far partire un allarme se il telefono si muove).
6) Istruire le aziende che hanno lavoratori essenziali a consegnare un coupon elettronico che li autorizza a uscire
(origine-destinazione dichiarati dall’azienda) e può esser verificato
dalle autorità di polizia mostrando il telefono (senza
autocertificazioni).
7) Distribuire il flusso nei trasporti pubblici e supermercati su diverse fasce orarie attraverso sms
con ora dedicata, indicando a gruppi di residenti predefiniti le ore a
loro dedicate, in modo da evitare affollamenti. Dare priorità agli
anziani, mantenendo nelle ore dedicate a loro una minore densità.
Funzionalità che saranno importanti anche dopo la fase acuta, quando si
dovranno riprendere gradualmente le attività e partiranno anche nuove
onde di contagio che andranno rapidissimamente fermate.
Come ha funzionato nella Corea del Sud
In Corea del Sud alcune di queste applicazioni sono in funzione. I numeri di Seul ci dicono che imponendo una quarantena collettiva sin da subito, e l’utilizzo dei dati degli operatori mobili, le autorità sono riuscite ad arrestare la curva epidemica in poco meno di un mese.
L’effetto è studiato dall’Oms come caso-scuola: il 26 febbraio a distanza di due settimane dall’adozione della app «Corona 100m» si è verificato il picco (800 contagi al giorno), esattamente il tempo di incubazione del virus. Per poi declinare fino ai circa 80 di questi giorni.
Negli Stati Uniti cinque giorni fa si è tenuta una riunione ai massimi livelli alla Casa Bianca. Il presidente Donald Trump ha accolto i vertici di Google e Facebook per chiedere la loro disponibilità.
Lo sviluppo dell’app italiana
In un documento, già sul tavolo del governo e dell’Istituto Superiore di Sanità, un gruppo di economisti e scienziati dei dati, tra cui Carlo Alberto Carnevale Maffè della Bocconi ed Alfonso Fuggetta del Politecnico di Milano, ha proposto di replicare il modello Corea. Il team di specialisti di SoftMining, una spin-off dell’Università di Salerno, ha sviluppato un’app denominata «SM_Covid19» in grado di valutare il rischio di trasmissione del virus attraverso il monitoraggio di chiunque sia positivo. Gli ospedali potrebbero così leggere i dati di rischio e aggiornare lo stato di una persona (negativo o positivo al test). Se risulta positiva al test, il rischio di ogni altra persona con la quale questa sia venuta in contatto viene aggiornato automaticamente.
Come stiamo organizzando l’emergenza
Al lavoro c’è una squadra Covid-19 composta da personale sanitario e tecnico che adotta un algoritmo procedurale per l’individuazione di casi sospetti. Vengono sottoposti a screening coloro che sono domiciliati o hanno soggiornato a lungo nelle zone rosse, i familiari dei casi sospetti o confermati e chi ha avuto rapporti stretti con pazienti ricoverati provenienti dalle zone rosse o dalla Cina. Il team alle dipendenze della Protezione civile, in base alle condizioni cliniche, stabilisce la necessità di ricovero ospedaliero o di test per Sars-CoV-2 e isolamento in caso di positività. Non è considerata la platea degli asintomatici, che possono continuare ad andare al lavoro (per esempio tutte le categorie che stanno garantendo i servizi essenziali), o i sintomatici lievi, ai quali viene solo consigliato di stare a casa. Potrebbero essere decine di migliaia e infettare a loro insaputa. Molti laboratori privati di diagnostica sono già attrezzati per coprirne migliaia alla settimana, ma le indicazioni del ministero della Salute predispongono il tampone solo per i casi sintomatici che necessitano di ricovero e devono essere eseguiti solo dai laboratori accreditati, pochi per regione. Da ieri potranno identificarne di aggiuntivi. Il nuovo test diagnostico dell’italiana Diasorin, che ridurrà il processo di analisi ad un’ora (oggi la media è di sei), è pronto per andare in commercio, ma verrà consegnato solo ai laboratori ospedalieri.
La volontà politica
Quindi serve un maggior numero di test, una capillare tracciatura dei contatti e gestione in sicurezza dei flussi. Ci vuole la volontà politica per mettere a terra un progetto d’urto, andando in deroga al diritto della privacy per particolari categorie di dati (la Ue lo ha già concesso), e velocità di decisione. Basterebbe un decreto del governo e un commissario che assuma la responsabilità di una gestione anonima dei dati e della loro distruzione quando l’incubo sarà finito.
Dice Vittorio Colao, ex Ceo di Vodafone, oggi consigliere dell’americana Verizon: «Nessuno di noi si preoccupa di dare la propria localizzazione per usare mappe digitali, prendere un taxi o ordinare cibo: non ho dubbi che in un momento di grande rischio per la salute i cittadini saranno disposti ad accettare che i loro dati siano usati per rendere le loro comunità più sicure e immuni. In Europa dobbiamo usare anche la tecnologia delle reti mobili per limitare al massimo i rischi delle persone e assicurare il rispetto delle misure di protezione».
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