Ora l’epidemia è asimmetrica: “Piani diversi per ogni regione”

“Sono d’accordo, ci sono ragioni strutturali di fondo – aggiunge Locatelli – e in particolare nelle zone più colpite della Lombardia, come il Bergamasco, c’è una concentrazione molto alta, stili di vita diversi, una cultura del lavoro, aspetti che paradossalmente sono diventati un fattore penalizzante”.

A questo proposito l’ultima idea degli esperti è quella di mettere in campo strategie differenti, da valutare in base alla situazione epidemiologica presente in ogni singola regione italiana.

L’incognita dei tamponi

Per quanto riguarda il numero dei tamponi da effettuare, è chiaro che più il controllo è capillare e più i numeri affidabili. Data la differenza strutturale dell’epidemia, può avere senso estendere misure più contenitive e mirate in alcune aree specifiche, ma non nell’intero Paese. Come conferma Gianni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità: “Per ora le raccomandazioni sono quelle di testare i sintomatici per isolarli, e di testare quanto più possibile i loro contatti. Ovviamente questo è più difficile in aree come la Lombardia, per un fatto numerico. Ma ricordiamo che noi abbiamo oggi molte regioni del centro-sud dove il contagio corre a una velocità diversa, ed è ancora possibile e doveroso fare un contenimento efficace”.

Attenzione però, perché l’estensione dei tamponi per tutti i contatti a rischio, magari da abbinare a un controllo da remoto dei movimenti non vuol dire puntare sui tamponi a tappeto. La precisazione arriva dall’epidemiologo Pierluigi Lopalco: “La strategia di contact tracking e diagnosi avviata in Italia è la più razionale ed adatta alle nostre esigenze epidemiologiche. Non va cambiata. Con l’unica eccezione della Sud Corea, l’Italia è il Paese che ha eseguito più test. Finiamola con questa sciocchezza che dobbiamo farne di più”.

L’ipotesi più conveniente, dunque, è quella di aumentare i test ma solo in modo mirato, onde evitare sprechi di tempo e risorse. Ad esempio Roberto Burioni, altro noto virologo, sostiene che “in questo momento è fondamentale fare test soprattutto sui guariti e chi ha sintomi lievi. Sappiamo che molti stanno a casa 15 giorni con sintomi chiarissimamente attribuibili al coronavirus, poi stanno meglio e guariscono. Ma alcuni sono ancora positivi. Su di loro è evidente l’utilità del tampone, per evitare che diventino inconsapevolmente veicolo di contagio”.

IL GIORNALE

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