Coronavirus. Renzi controcorrente: apriamo, col virus bisogna convivere

È un quadro vero. E allora insisto: l’Italia non può stare ibernata per un altro mese perché così si accende la rivolta sociale. I balconi presto si trasformeranno in forconi; i canti di speranza, in proteste disperate. È per questo che le istituzioni devono agire senza perdere nemmeno un giorno.

Agire?

Serve un piano per la riapertura. Le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua. Poi il resto. I negozi, le scuole, le librerie, le messe. Sì, non ci scambieremo il segno della pace ma torneremo a messa. O almeno a fare l’adorazione insieme.

Anche le scuole?

Sì, bisogna ripartire. Il ministro giovedì in Senato è stata poco chiara sui tempi, ma bisogna riaprire. Bisogna garantire gli esami: il sei politico fa male. I ragazzi hanno il diritto di essere valutati e il governo ha il dovere di permetterlo. E allora faccio una proposta concreta: si torni a scuola il 4 maggio. Almeno i 700mila studenti delle “medie” e i 2 milioni 700mila delle “superiori”. Tutti di nuovo in classe, mantenendo le distanze e dopo aver fatto comunque tutti un esame sierologico: una puntura su un dito e con una goccia di sangue si vede se hai avuto il virus. È probabile che tanti ragazzi abbiano già contratto il Covid senza mostrare sintomi: sarebbe uno screening di massa importante.

Torniamo all’emergenza economica.

Ogni tipo di richiesta di denaro va sospesa: tasse, affitti, mutui. Chi è stato chiuso regge se gli elimini le scadenze o se gli offri una straordinaria iniezione di liquidità. È la sola strada: lo Stato deve dare garanzie alle banche e le banche devono garantire liquidità. Senza pretendere modulistiche infernali, deve bastare un modulo di richiesta sulla base del fatturato dell’anno prima e la garanzia dello Stato.

La burocrazia è un mostro presente in ogni atto del governo?

È così, è drammaticamente così. Il governo, direi la politica, ha bloccato le libertà di sessanta milioni di italiani ma non è stato capace di bloccare il virus della burocrazia. Il “Cura-Italia” è un incomprensibile fiume di parole. Le autocertificazioni per spostarsi cambiano ogni giorno: facciamo un’autocertificazione in meno e un tampone in più. In momenti così la vita della gente va resa semplice, non complicata, in momenti così la burocrazia non può vincere sulla Costituzione.

Giusto pensare a aziende e famiglie ma i numeri del lavoro nero sono impressionanti. Come si soccorre quell’umanità meno garantita?

Bisogna che i soldi arrivino alle aziende e che le aziende ripartano subito. Altrimenti saltano i posti di lavoro. E allora i soldi vanno solo in misure assistenziali, ma il Reddito di cittadinanza per tutti non funziona, non garantisce la ripartenza. Il lavoro nero? Ha ragione: è un tema che c’è, che ci interroga e con cui bisognerà fare i conti. Penso a una scossa fiscale senza precedenti. E, parallelamente, penso a quelli che lei definisce meno garantiti. Se abbiamo la forza di impostare un piano di ripartenza per le aziende “regolari” abbiamo anche il dovere di immaginare una strada per far emergere le sacche di “irregolarità” e di immaginare anche per queste precise garanzie. Penso ai lavoratori in nero a cominciare dalle badanti fuori regola e penso agli immigrati regolari che chiedono cittadinanza. Facciamo emergere la verità. E diamo cittadinanza a chi lavora.

Lei dice riaprire, ma la gente ha paura.

Non me lo dica, ho due nonne. Una compie ora cent’anni, un’altra novanta. Io penserò a loro, come tutti noi penseremo ai nostri anziani che non potremo più abbracciare per qualche mese: è terribilmente triste ma saremmo costretti a fare così. La stagione del coronavirus ha un prima, un dopo, ma anche un durante. E nel durante bisognerà fare i conti con la realtà. Per un anno non ci daremo più la mano. Non staremo più attaccati nelle tavolate in pizzeria, si andrà al cinema e al teatro mantenendo la distanza di sicurezza. Si eviteranno i posti affollati e si lavorerà di più da casa. Si vivrà diversamente, ma si vivrà. Bisogna ripartire, però. Perché l’alternativa è chiudersi in casa e morire. Penso spesso a Firenze: dopo la peste del 1348 creò il Rinascimento. Penso che per arrivare al dopo bisogna attraversare il durante. Faremo fatica ma ce la faremo.

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