“La rabbia sta arrivando anche al Nord”. Intervista a Licia Mattioli

Come dicono gli americani, “the sooner the better”, prima è meglio è. Noi non possiamo resistere a lungo, per una serie di ragioni piuttosto ovvie: le aziende italiane sono in difficoltà sia sul fronte interno, sia su quello esterno: pensiamo alle filiere internazionali, se sospendi la tua produzione ci sono altri che prendono il tuo posto e metti a rischio la sopravvivenza delle aziende. Vorrei essere chiara su questo punto. Sempre nel rispetto dei protocolli sulla sicurezza e avendo a cuore salute delle persone, sarebbe importantissimo riaprire il prima possibile per garantire la sopravvivenza di tutti i posti di lavoro.

Diceva la Thatcher: la medicina è amara ma è la medicina.

Sì, ma la cura non può ammazzare il cavallo. E così si ammazza il cavallo o, se preferisce un’altra metafora, affonda la barca in cui stanno sia lavoratori che imprenditori. Insomma, ci siamo capiti. Dico: con prudenza, ma facciamo una valutazione delle filiere. E facciamola con serietà, senza sconti per nessuno, per il bene prima di tutto del Paese, poi delle famiglie e delle imprese.

Di quelle essenziali, dice lei.

Esatto, facciamo una verifica. Non dico “riapriamo subito ciò che è chiuso”, questo sarebbe incosciente, ma è necessario allentare alcuni divieti nelle filiere essenziali. Come fai a fare le manutenzioni, se non hai pezzi di ricambio? O ancora: alcuni codici Ateco non rappresentano più, perché obsoleti, la totalità delle attività delle imprese e quindi spesso non sono sufficienti nella valutazione del carattere di essenzialità di quelle produzioni. 

Però, Mattioli, su questo tema forse Confindustria dovrebbe fare un po’ di autocritica. Ricorda “Milano non si ferma”, “Bergamo non si ferma”, la pressione degli industriali locali quando era evidente che bisognava chiudere?

È una sintesi un po’ sbrigativa, perché non abbiamo mai chiesto di tenere aperto, senza tener conto della sicurezza. Però, mi permetta di insistere, qui siamo su un crinale delicato. Nessuno propone di correre rischi in nome del profitto, qui c’è un problema di salvaguardia di posti lavoro. Avanti così il sistema non regge a lungo.

È evidente che, in questa crisi, siamo a un cambio di fase. La paura si sta trasformando in rabbia. Se ne vedono già i primi segnali al Sud con l’assalto ai supermercati.

E vedrà, arriveranno anche al Nord. C’è un problema di tenuta economica e sociale, di fronte al quale serve un piano shock. E comunque misure più incisive e varate con determinazione, senza tentennamenti. Uno: Cassa integrazione, erogata subito da parte dell’Inps e non anticipata da parte delle imprese. Due; il tema della liquidità è pressante, dunque è urgente spostare le scadenze non di un mese, ma almeno fino all’estate, per tutti i temi tributari e fiscali. Non si possono, in queste condizioni, varare misure come se fossimo in tempi normali. Tre: potenziare i sistemi di garanzia per sostenere la liquidità di famiglie e imprese. E pensare a una golden power perché le imprese capi filiera e strategiche per il Paese siano aiutate nel rilancio post-bellico a cui andremo incontro.

Ma lei ha capito quando arrivano i soldi del Cura Italia alle imprese?

No, perché, come al solito in Italia c’è troppa burocrazia. Troppe circolari e meccanismi di attuazione da semplificare. Quindi, anche adesso le intenzioni sono buone ma bisogna capire come attuarle. C’è un unico modo per non mettere a rischio la tenuta sociale ed è far ripartire l’economia.

Nel governo qualcuno ha proposto di estendere il reddito di cittadinanza o di varare un reddito di emergenza.

Per l’emergenza di chi lavora c’è la cassa integrazione, che va estesa a tutte le categorie. E per chi non lavora dobbiamo pensare a misure alternative al reddito. Per la ricostruzione vanno rilanciati i consumi, fatti ripartire acquisti pubblici e cantieri, insomma va rilanciata l’economia. Guardi i fiumi di liquidità che stanno immettendo gli altri paesi, come gli Stati Uniti, 2mila miliardi di dollari o la Germania, 500 miliardi di euro. A fronte di questo, mi sembra che i circa 25 miliardi di euro stanziati in questo decreto non siano sufficienti, e bisogna che l’Europa faccia la sua parte dimostrando di essere una grande Federazione.

Insomma, il governo non sta gestendo bene il dossier economico? 

Ha fatto delle cose giuste, ma in modo confuso. È giusto in nome dell’emergenze sanitarie prendere decisioni forti e condivise, ma vanno prese prevedendo le conseguenze, con un ordine temporale chiaro, altrimenti si crea solo un’emergenza nell’emergenza. Facciamo una task force di resilienza con politici, industriali, economisti, categorie produttive, da cui esca un coraggioso e tempestivo piano shock per la ripartenza.

Posso fare la sintesi di questa nostra chiacchierata? La sintetizzerei così: “Magari Draghi”.

Sintetizziamola così: abbiamo delle personalità che sono un punto di riferimento a livello globale e che rappresentano dei grandi asset per l’Italia. Io penso che un uomo come Mario Draghi vada coinvolto quale che sia il ruolo. Per uscire da un’emergenza straordinaria come questa abbiamo bisogno di persone straordinarie, per quello che hanno fatto e non solo per quello che hanno detto.

L’HUFFPOST

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