“Inopportuno riaprire”. Intervista a Franco Locatelli (Css)

Purtroppo non registriamo lo stesso effetto sul numero dei deceduti, ma, rispetto agli altri, questo dato registra un ritardo di 10-14 giorni. È probabile, dunque, che lo vedremo a partire da mercoledì, giovedì prossimi. Il trend che registriamo per i positivi e gli accessi ai pronto soccorso, sia in termini interpretativi che motivazionali, deve essere una spinta a mantenere le misure di contenimento e distanziamento sociale attualmente in vigore, orientate a far abbassare sempre di più l’indice “R0” fino a raggiungere almeno quota 1. In questa prospettiva è assolutamente da rimarcare un concetto”.  

Quale?

“Non saremmo arrivati a registrare questi numeri se non avessimo messo in atto misure così stringenti, che ci sono costate restrizioni della nostra libertà individuale, della nostra vita sociale e limitazioni alle attività produttive e lavorative. Un prezzo che il Paese ha pagato e continuerà a pagare ancora per un po’”. 

Si parla molto della necessità di riaprire l’Italia. C’è stata la proposta di Matteo Renzi. La vicepresidente di Confindustria Licia Mattioli, ha dichiarato che “prima si allenta la serrata nelle filiere essenziali, meglio è”. È irrealistico in questo momento qualunque progetto di riapertura?

“Il parere di tutti, compresi evidentemente quelli del senatore Renzi e della vicepresidente Mattioli, sono rispettabili e vanno tenuti in conto. Detto questo, però, parlare adesso di riapertura mi pare francamente prematuro. È ovvio che il Paese va riaperto, ma non ora. Come Consiglio Superiore di Sanità ci siamo posti la questione anche per sviluppare una strategia adeguata all’obiettivo. Se aprissimo adesso vanificheremmo tutti i sacrifici fatti. Il decisore politico dovrà valutare la scelta da compiere, ma tra qualche settimana. Ripeto, e non ho la minima esitazione a sottolinearlo, ora è prematuro. Facciamo consolidare i dati che stiamo registrando in questo momento”. 

Neanche una riapertura parziale è ipotizzabile?

“Non la vedrei opportuna, non credo esistano le condizioni”.

Il 3 aprile scadrà il decreto firmato dal presidente Conte che obbligava tutti a rimanere a casa. Le misure restrittive saranno prorogate di altri quindici giorni?

“La scelta spetta al presidente e al Consiglio dei ministri con l’apporto cruciale del Ministero della Salute. Per quello che mi riguarda, non ho dubbi sull’opportunità di prolungare per altri quindici giorni le disposizioni attualmente in vigore. Nessuno vuole mortificare il Paese, ma non possiamo piangere oltre 10.000 morti e riaprire quattro, cinque giorni dopo aver registrato una stabilizzazione e una lieve deflessione del numero dei nuovi positivi”.

La situazione della Lombardia resta drammatica. Potrebbe servire, per allentare la morsa del virus, isolare completamente la Regione per due settimane?

“Non vedo ragioni né raziocinio per chiudere ancora di più la Lombardia. Alcuni colleghi che lavorano in pronto soccorso mi dicono che la pressione degli accessi è in marcato declino. Dunque perché inasprire le misure proprio adesso?”.

Intanto nel Paese la paura si sta trasformando in rabbia. Da più parti si levano grida d’allarme, richieste d’aiuto, proteste, si teme una bomba sociale.

“Nessuno sottovaluta l’impatto economico delle misure varate e il sacrificio richiesto a milioni di persone. Ma va tenuto presente che la riapertura sarà un percorso decisionale tutt’altro che facile. Vuoi perché siamo il primo Paese dell’Occidente a dover compiere una scelta del genere vuoi per la situazione che l’epidemia ha determinato in Italia. Chiudere è stato un atto dolorosissimo, ma paradossalmente più facile rispetto alla necessità di individuare i criteri per riaprire, per non pagare un prezzo troppo alto e non vanificare quello che si è fatto, lo sforzo congiunto del Governo, del Ministero della Salute con i suoi organi e delle Regioni, che hanno portato avanti un lavoro meritorio”.

Ha fatto riferimento alla necessità di individuare criteri, sviluppare strategie adeguate su cui incardinare le scelte per la riapertura.

“È importante sviluppare strategie solide basate su studi specifici. Penso, ad esempio, a quelli finalizzati a verificare la sieroprevalenza, ossia quanti soggetti hanno sviluppato anticorpi, anche per capire se c’è l’immunità di gregge. È possibile, poi, che vengano compiute scelte differenziate a seconda della diffusione del contagio nelle varie zone del Paese. Oggi abbiamo Regioni – la Lombardia e il Piemonte – e zone – la parte alta dell’Emilia Romagna – ad alto impatto epidemiologico, altre con impatto epidemiologico intermedio e altre ancora – il Molise e la Basilicata – dove l’impatto è minore. Aprire sarà piacevole e tutti lo faremo con gioia, ma le scelte per farlo vanno ponderate per non rendere vani gli sforzi compiti. Servono studi e valutazioni caute e attente. Ne riparleremo tra qualche settimana”. 

Cosa dire, nel frattempo, a quanti reggono sempre meno le restrizioni imposte dal lockdown?

“Dobbiamo dare messaggi motivazionali. Anche perché le persone sono disposte a fare sacrifici se vedono e comprendono le ragioni per sostenerli. Ebbene: qui è in gioco la vita di tutti noi, soprattutto dei più fragili. Penso agli anziani, un patrimonio inestimabile eppure non considerato come si dovrebbe. I risultati delle misure adottate li stiamo vedendo, andiamo avanti così. Il direttore dell’Organizzazione mondiale della Sanità non indica l’Italia come un modello per tutto il mondo per simpatia nei nostri confronti”. 

L’Oms, però, ha detto che per spezzare la catena dei contagi, oltre all’isolamento serve effettuare più test. Più tamponi, dunque, è la richiesta di quasi trecento scienziati italiani al Governo. È ipotizzabile una politica di campionamenti diffusi in modo capillare nel Paese?

“Partiamo dal presupposto che il tampone riflette la situazione esistente in termini di diffusione del contagio nel momento in cui viene effettuato, per cui una persona risultata negativa oggi può rivelarsi positiva tra tre giorni. Alla luce di questo, è ovvio che non c’è alcuna possibilità di condurre campionamenti diffusi e ripetuti su tutta la popolazione italiana. Una politica di questo genere non trova riscontro né nelle indicazioni dell’Oms né nelle linee seguite dagli altri Paesi del mondo. A oggi, in Italia, che con 400.000 tamponi complessivi è il Paese che ne ha realizzati più di tutti, ne vengono effettuati circa 30.000 al giorno. Dal Ministero della Salute, dal Comitato tecnico scientifico della Protezione civile e dal Consiglio Superiore di Sanità sono arrivate indicazioni chiare, in linea con quelle dell’Oms”. 

Cioè?

“Abbiamo raccomandato di effettuare i tamponi a quanti manifestassero anche un solo sintomo dell’eventuale contagio, o provenissero da aree ad alta incidenza epidemiologica, o avessero avuto contatti con persone risultate positive al Covid-19. Di più, abbiamo dato indicazioni perché si effettuino i tamponi in via prioritaria al personale sanitario, medico e infermieristico, per tutelare la loro salute e contestualmente quella dei pazienti e degli ospiti ricoverati nelle strutture – penso anche alle rsa (le residenze sanitarie assistenziali, ndr) – in cui operano. E poi c’è un’altra questione da tenere presente”.  

A cosa si riferisce?

“Nonostante lo sforzo enorme compiuto per aumentare il numero dei laboratori accreditati – in Lombardia, ad esempio, si è passati da 3 a 22 – c’è un problema di queste strutture, che devono far fronte pure a disponibilità limitate disponibilità del reagente per processare i test, a gestire i campioni. Non si può pensare di effettuare tamponi, ripetuti a pochi giorni di distanza, a 60 milioni di persone”.

Negli ultimi giorni si è molto discusso anche dell’affidabilità dei numeri di contagiati e deceduti, di quanto siano indicativi di quello che sta succedendo realmente essendo, a detta di esperti e analisti, sottostimati.

“I dati diramati dalla Protezione civile sono esattamente quelli che provengono dalle realtà regionali e riportano i casi dei soggetti sintomatici. È chiaro che c’è una quota di asintomatici che non viene intercettata, ma dire quanti sono è un esercizio quasi impossibile. Indicazioni ulteriori arriveranno di certo dagli studi di sieroprevalenza, che vanno compiuti per saperne di più di come questa brutta storia si è sviluppata nel nostro Paese”.

Quando durerà, professore, questa brutta storia? L’epidemiologo Lopalco ha dichiarato che la pandemia andrà avanti almeno fino all’estate e che senza le misure adottate oggi conteremmo milioni di morti.

“Sono d’accordo. Una prova sta nel fatto che Paesi – penso agli Usa e alla Gran Bretagna – inizialmente orientati su scelte diverse, hanno dovuto compiere improvvisi e precipitosi passi indietro. L’esplosione dei casi negli Stati Uniti non è casuale. Quanto alla durata dell’epidemia da noi, è una previsione non facilissima, dipenderà anche da quello che succederà negli altri Paesi. Col Covid-19 dovremo convivere ancora per un po’, ma di certo il virus nei tempi a venire non avrà il medesimo impatto epidemico, né farà registrare il numero dei morti, di oggi. Ci saranno focolai epidemici più piccoli, localizzati in alcune zone. Che è poi l’obiettivo cui tendevano gli sforzi incredibili compiuti in queste settimane in cui siamo riusciti, tra le altre cose, a raddoppiare i posti in rianimazione, a potenziare strumentazioni e attrezzature. Non va dimenticato poi, e mi auguro che il Paese ne conservi memoria, il sacrificio di vite umane del personale sanitario, medico e infermieristico”.

Qualche giorno fa il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, ha dichiarato: “Rallenta la crescita di nuovi contagi ma il picco non è stato ancora raggiunto”. Quando ci arriveremo?

“Condivido le parole di Brusaferro. Fare una previsione sui tempi è un esercizio al limite dello stocastico, lascia il tempo che trova. Non dobbiamo avere paura di dire che i segnali di riduzione dei nuovi casi di positivi e la minore pressione negli accessi ai pronto soccorso motivano e non poco. Vorremmo vedere risultati anche sul piano dei numeri della mortalità, ma dobbiamo avere un po’ di pazienza per aspettare i tempi che intercorrono tra quando ci si infetta e quando sopraggiunge la morte. Andando avanti così li vedremo certamente”. 

Proprio guardando avanti, di recente lei ha sottolineato quanto è importante che la responsabilità individuale diventi ora responsabilità familiare e che si adottino comportamenti adeguati nei confronti delle persone fragili e degli anziani, che stanno pagando un prezzo altissimo.

“Il contagio interfamiliare è l’altro grande motore su cui può andare a innestarsi la diffusione epidemiologica del coronavirus. Far diminuire il valore R0, portandolo prima a 1 e poi sotto tale quota, sarà possibile solo facendo attenzione al contagio interfamiliare e attraverso politiche ben strutturate di “contact tracing”. È quindi fondamentale, quanto più possibile nell’ambito dei contesti familiari, implementare le misure stringenti di contenimento dei soggetti risultati positivi. I familiari dei concittadini positivi al Covid-19 limitino i contatti esterni per interrompere questa catena di trasmissione. Per quel che riguarda gli anziani, la nostra radice storica, vanno tutelati evitando che escano di casa. Se sono residenti nelle case di riposo o rsa, in questa fase rinunciamo alle visite. Queste strutture infatti, come gli ospedali, rischiano di essere un volano di amplificazione del contagio che potrebbe far aumentare il numero dei morti per coronavirus. Vede, io sono originario della provincia di Bergamo, la zona più martoriata da questa pandemia in Italia. Seicento miei conterranei ospitati in rsa hanno perso la vita, un numero enorme. Cerchiamo di tutelare le persone fragili e gli anziani. Mi auguro che la triste vicenda che stiamo vivendo ci sia utile per comprendere il valore di questo patrimonio e anche per un’altra cosa”. 

Quale, professore?

“Purtroppo il nostro Paese si è distinto per pulsioni no vax, impulsi deprecabili, che spero non compaiano più all’orizzonte. Ecco, il mio auspicio è che questa brutta storia riporti al centro dell’attenzione la cultura della vaccinazione, basata su un principio chiaro: difendere se stessi vuol dire difendere gli altri”

L’HUFFPOST

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