Adda passà ‘a nuttata
Insomma adda passà ’a nuttata: questa sembra essere la linea, come se fosse stato infettato anche l’elemento umano che può cambiare la situazione, o quantomeno governarla, dopo che proprio l’elemento umano ha sbagliato previsioni e tempi. In attesa di chissà quale illuminazione e in attesa del famoso picco e del famoso calo. Picco previsto, nella relazione tecnica del terzo decreto attorno al 18 marzo e oggi ipotizzato dall’Istituto superiore della sanità per la prossima settimana.
Quello che sta accadendo è che, nell’incertezza di tutto, il governo ha scelto di “accompagnare” la situazione, nell’ambito di una complessiva “cessione di sovranità” al comitato tecnico scientifico, che oggi per la prima volta si è riunito per abbozzare un timido approccio al tema della “transizione”, il “come riaprire”, per evitare che il lockdown totale, a sua volta, accompagni il paese al default.
Parliamoci chiaro, il “come” riaprire, è una decisione politica, di responsabilità politica, da compiere in relazione alla sostenibilità del sistema sanitario e alla sostenibilità del modello economico: quali filiere, di quali settori, quali regioni, fasce d’età, categorie produttive, numero di dipendenti e capacità di proteggerli, tamponi e prove sierologiche per verificare gli anticorpi. Su tutto questo, al momento non c’è una discussione ordinata nel governo, né con le parti sociali, in un clima in cui prima di riaprire occorre aspettare che il virus se ne vada, in che misura, non è dato sapere. Neanche come “linee guida” di sostenibilità. Appunto, adda passà ’a nuttata.
È una scelta, evidentemente fondata sull’illusione della politica dei due tempi: la fase dell’emergenza sanitaria, poi quella dell’emergenza economica, la cui entità è già squadernata nei dati dell’ufficio studi di Confindustria e nelle immagini del montante malessere sociale. Il timore del governo, in questo momento, è duplice. Il primo è che il semplice accenno a una discussione sul “come riaprire” possa produrre l’effetto “liberi tutti”. Il secondo è il non smentire, dopo tante incertezze di linea, che questo approccio sta funzionando, il che può anche essere vero, anzi sarà sicuramente vero, ma non viene spiegato, né viene spiegata la sostenibilità economica: il problema non è lo “state a casa” di oggi, ma il quando si potrà uscire con un drastico abbassamento del tenore di vita.
Questo è il cuore del problema. È chiaro che non c’è alternativa, per come si sono messe le cose, tuttavia ogni settimana che passa rende più difficile la ripartenza e la ricostruzione al limite di comprometterla. Una morsa del diavolo: se si allenta, diventa un lazzaretto, se si tiene si compromette il dopo. Ma guai a nominare lo studio dell’Università di Harvard, su come è stata gestita. “Ce la stiamo facendo”.
L’HUFFPOST
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