Coronavirus, Paolo Giordano: «La vita dopo? Il futuro è un puzzle che va costruito insieme»
Invochiamo gli esperti. Ma sarebbe il momento di accettare, per quanto ci spaventi, che non esistono veri esperti di questa crisi. Esperto è colui che ha fatto esperienza e nessuno ne ha mai fatta una simile, non su questa scala, non con questa gravità. Nessuno, poi, è competente nella totalità dei campi che sarà necessario gestire e armonizzare da qui in avanti. Abbiamo virologi eccellenti, immunologi, analisti di dati, informatici, economisti e psicologi; se capiamo quali domande rivolgere, avremo indietro delle risposte sensate. Da ognuno un pezzetto del nostro futuro. Ormai sono parecchi, sparpagliati sul tavolo: pezzi di virologia e immunologia ed epidemiologia e macro e microeconomia, pezzi inquietanti di sociologia e di psicologia. Ricomporli è il compito arduo della politica. Ma per completare un puzzle siamo abituati a guardare la figura sulla scatola, e stavolta la figura non c’è. Va inventata. Noi che scriviamo, esperti di nulla, ci limitiamo a contare i pezzi e magari a suddividerli in base al colore, come ci veniva raccomandato da bambini prima d’iniziare l’assemblaggio.
Primo pezzo. È passato un mese dall’inizio del lockdown. Ci sono cresciuti i capelli, siamo notevolmente più trasandati e cominciamo a chiederci se sapremo ancora indossare un paio di pantaloni normali al posto della tuta. La primavera, intanto, preme contro i vetri di casa, le giornate si allungano e ogni mattina è un po’ più calda e seduttiva della precedente. L’infilata di feste comandate si estende davanti a noi con un’inedita aria minacciosa. Sarà un’impressione personale, ma mi sembra che in molti inizino a vacillare. Che ci sia più movimento nelle strade. O forse sono io a cedere. Ma non è ancora il tempo: mollare adesso vorrebbe dire precipitare in un istante al punto di partenza. I nuovi infetti, plausibilmente, sono molti di più di quelli che ascoltiamo nel bollettino delle 18. L’epidemia continua nelle strutture ancora aperte, nelle interazioni residue, nei cortili delle case e dentro le case stesse. Abbiamo bisogno subito, però, di una narrazione nuova che ci motivi a resistere. L’affollamento degli ospedali e il bisogno di supportare medici e infermieri ci hanno incoraggiato a lungo, gli appelli delle star hanno aiutato, le minacce d’inasprire le sanzioni molto meno; la retorica delle pubblicità sulla meraviglia di restare a casa è diventata stucchevole e rischia di ottenere l’effetto opposto. Senza una narrazione nuova, senza una descrizione anche vaga di come si presenterà il coronapuzzle una volta completato, la gente smetterà di sacrificarsi. Ricominceremo a uscire più del dovuto e ci troveremo daccapo.
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