Coronavirus, Paolo Giordano: «La vita dopo? Il futuro è un puzzle che va costruito insieme»
Secondo pezzo. La fine ultima del contagio può arrivare in quattro modi: con un vaccino, con l’immunità di gregge, con una cura efficace, con un miracolo. Contare sul miracolo è parecchio rischioso, della cura efficace non sappiamo molto e la strada verso l’immunità di gregge è incerta e forse pavimentata di troppe vittime (sebbene potremmo trovarci a percorrerla senza nemmeno rendercene conto). Pertanto dobbiamo assumere come «fine di tutto questo» il momento in cui una parte cospicua della popolazione sarà vaccinata. In uno scenario ottimistico, ovvero assumendo che il vaccino esista già fra i tanti allo studio e che sia sperimentato e prodotto in tempi record, significa non prima di un anno. Un anno: ecco la cornice del nostro puzzle impossibile.
Terzo pezzo. Sarà un anno diverso da tutti quelli che abbiamo vissuto, ma non sarà fatto da dodici mesi orribili come l’ultimo marzo. Tutto dipende, ancora una volta, dalle curve. Dobbiamo solo stare attenti a guardare quelle giuste. Ci ostiniamo a considerare i nuovi contagi, quando sono ormai così lontani dalla realtà da aver perso quasi tutto il senso. Se ieri eravamo a più di 130 mila casi ufficiali, le stime ci dicono che parliamo almeno di dieci volte tanto (secondo l’Imperial College, di cinquanta volte tanto). Potremmo farci guidare, in alternativa, dal trend dei decessi, ma anche quelli sono sottostimati e non sappiamo di quanto. Inoltre, le morti hanno un ritardo sul contagio di almeno un paio di settimane, che rischia di ritardare anche noi. Procediamo alla cieca quindi? No. Esiste un dato più rilevante, quello dei ricoveri e delle dimissioni dalle terapie intensive degli ospedali. Un dato che diventerà ancora più affidabile con la decongestione progressiva dei reparti del Nord. Ciò che vogliamo assicurarci per poter «convivere con il virus» nell’anno che verrà è che tutte le persone bisognose di cure possano riceverle. Il virus continuerà a farci ammalare, anche gravemente, ma noi saremo tutti trattati al meglio delle possibilità mediche. Quel tasso di letalità apparente che finora in Italia ci ha sconvolti si attesterà sul valore intrinseco della malattia. E noi andremo avanti. Ecco il nuovo equilibrio sostenibile a cui dobbiamo puntare, sebbene appaia, a descriverlo, un po’ triste.
Quarto pezzo. Il contagio non ha colpito il nostro Paese in maniera omogenea, lo sappiamo. Ma la tendenza all’uniformità, al contagiarci tutti, è purtroppo un’altra caratteristica intrinseca di questa come di ogni epidemia. Ciò significa che le regioni finora «risparmiate» sono proprio quelle a cui prestare maggiore attenzione. I motivi sono svariati. Innanzitutto la percentuale di suscettibili al Centro-sud potrebbe essere significativamente maggiore rispetto a certe aree del Nord dove un principio d’immunità gruppale si sta forse formando (ma lo sapremo solo quando avremo a disposizione i test adeguati). L’estate, se verrà data la possibilità, attrarrà flussi massicci verso zone dove la capacità dei serbatoi ospedalieri è inferiore e non è stata rafforzata durante l’emergenza. L’equilibrio fra nuovi ricoveri e posti liberi in terapia intensiva potrebbe quindi essere diverso, anche di molto, da una regione all’altra, perfino da una provincia all’altra, e in alcune aree richiedere un rodaggio più lungo.
Quinto pezzo: minimizzare la sofferenza. Dove «minimizzare», ovviamente, non sta per «sminuire», ma è da intendersi nel senso matematico di «rendere minimo». In analisi è prassi comune cercare i massimi e i minimi di una funzione per poterla disegnare. La funzione che dobbiamo analizzare è decisamente complicata. Con il passare delle settimane ci siamo accorti che accanto alla curva epidemica ne esistono infatti delle altre: la curva delle vittime dovute ai danni economici, quella delle vittime dovute ai danni psicologici. Sono entrambe all’inizio della loro impennata, ma cresceranno, e c’è da scommettere che il loro andamento non sarà troppo diverso da quello esponenziale dei contagi. Dobbiamo immaginare, allora, di metterle insieme per creare un’unica curva (per amor di precisione, matematicamente sarebbe una superficie). Di questa «curva della sofferenza» dobbiamo poi trovare il minimo, il punto in cui sostare per avere il numero più basso di vittime dirette e indirette. Non esistono esperti per questo, se non gli esperti del buon governo.
Sesto pezzo. Sarà quindi un gioco di destrezza. Un po’ come gestire molti rubinetti contemporaneamente. Ora sono tutti chiusi: la produzione industriale, le piccole attività, la scuola, i bar e i ristoranti, le seconde case, i cinema e i teatri, le spiagge e le librerie, noi. La pressione nei tubi aumenta sempre di più e prima o poi bisognerà allentare qualche manopola: i commerci prima che vengano strozzati, la nostra clausura prima che usciamo di testa. Ma i serbatoi (i reparti di terapia intensiva degli ospedali) inizieranno subito a riempirsi, e se non siamo accorti a traboccare. Le strategie possibili sono diverse: lasciare tutti i rubinetti al minimo gocciolamento, aprirne solo alcuni, oppure aprirli tutti e poi richiuderli a intermittenza. Ogni strategia è un anno diverso che ci aspetta. Una figura diversa del puzzle. Non pretendiamo che la strategia venga scelta adesso, sarà un processo euristico, di tentativi, errori e correzioni, ma si potrebbe già discutere sui pregi e i difetti di ognuna. E se non sarebbe conveniente, per esempio, azzardarsi ad aprire qualche rubinetto in più durante l’estate per guadagnare un po’ di fiato e immunità per l’autunno. La gestione idraulica che attende il governo non è invidiabile, soprattutto in mezzo alla ruggine e ai cigolii della nostra burocrazia. Da parte nostra, è bene che mettiamo in conto una buona dose di scontento e ci prepariamo a una routine davvero nuova, più nuova ancora di quella che stiamo vivendo.
L’anno che verrà sarà alieno. E assomiglieremo un po’ a degli alieni anche noi, con guanti e mascherine e distanze di sicurezza. Non è detto che tutti i pezzi del puzzle combaceranno bene, alcuni andranno attaccati a forza e resterà di certo qualche buco. Ma il paesaggio sarà qualcosa che non abbiamo mai visto e, per una volta, abbiamo l’occasione di disegnarlo più simile a come lo vogliamo.
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