Coronavirus, non basta dire «state a casa»

Va riconosciuto che l’Italia è stato il primo Paese occidentale a chiudere, ed è riuscita a evitare il contagio di massa al Sud. Ma ora occorre fare di più. Molto di più. Non basta ripetere che bisogna stare a casa e promettere denaro a tutti, ritoccando la cifra ogni giorno; occorre creare le condizioni per ricominciare a vivere e a lavorare. Il modello è evidente: le nazioni che meglio hanno frenato il virus e organizzato la ripresa. Non solo Corea del Sud e Giappone; anche la Germania. I tedeschi fanno quasi centomila tamponi al giorno, isolano i positivi, distinguono le fasce d’età e le aree geografiche da proteggere con maggiore attenzione; e fanno ripartire la macchina produttiva – mai spenta del tutto – affidandola a chi non può trasmettere il Covid-19.

L’Italia di oggi non è la Germania, d’accordo. Ma non è neppure l’Italia del Seicento, dei monatti e di don Ferrante che va a letto a morire «prendendosela con le stelle». Le cose da fare non sono facili, però sono ineludibili: uno screening di massa, con un test rapido come potrebbe essere la ricerca di anticorpi nel sangue; un’app che consenta di tracciare i positivi; misure per proteggere gli anziani; e la ripartenza della produzione, garantendo la sicurezza dei lavoratori. Non sono cose che si fanno in pochi giorni; vanno programmate per tempo, e quindi bisogna cominciare a predisporle subito, con un piano operativo che coinvolga istituzioni pubbliche, laboratori privati da riconvertire ai test sulla pandemia, hotel da requisire per la quarantena dei positivi senza sintomi o con sintomi lievi e delle persone dimesse ma ancora in grado di trasmettere il virus. Qualcuno si è già mosso: fuori dall’ospedale di Cinisello Balsamo, per fare un solo esempio, il tampone si fa in auto; sono pratiche che devono diventare di uso comune.

Gli italiani, con rare eccezioni, si sono comportati bene. Siamo consapevoli che non torneremo subito alla normalità. Il telelavoro continuerà. Fino a settembre le lezioni probabilmente proseguiranno on line (va dato atto agli insegnanti e a molti studenti di non essersi fermati). Sarà un’estate strana. Eviteremo gli assembramenti: concerti, spettacoli, stadi aperti purtroppo non saranno per domani. Ma il lavoro deve riprendere. Finanziamenti e prestiti sono importanti, però servono a rilanciare la produzione, non a sostituirla. Molti imprenditori e manager denunciano che le loro fabbriche in Italia sono le uniche a restare chiuse, mentre quelle dello stesso gruppo in Francia, Germania, Inghilterra funzionano regolarmente. Così si perdono quote di mercato e si creano disoccupati.Occorre affrontare l’emergenza immediata, certo; ma l’inedia, se oggi inevitabile, domani può diventare mortale.Non dobbiamo avere fretta di ripartire tra pochi giorni; ma non possiamo pensare di avere davanti a noi un orizzonte infinito, illudendoci che la Bce possa stampare soldi per tutti.

CORRIERE.IT

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