E ora siate semplici
di Gian Antonio Stella
«Provvedimenti per la riforma delle Amministrazioni dello Stato, la semplificazione dei servizi e la riduzione del personale». Sono passati novantanove anni dal giugno 1921 in cui l’allora ministro del tesoro Ivanoe Bonomi presentò un suo progetto per cambiare la burocrazia italiana. Novantanove. Eppure lo stesso titolo di quella lontana legge pare scritto ieri mattina. Non perché fosse spericolatamente futurista allora: perché è stravecchio il linguaggio burocratico di oggi.
La bozza del «Decreto-legge recante disposizioni urgenti per il sostegno alla liquidità delle imprese e all’esportazione» dice tutto. Le migliori intenzioni, le più generose aperture, i più volenterosi obiettivi, rischiano infatti di impantanarsi in un testo che si srotola per cento pagine in 37.157 parole. Il quadruplo di quelle usate dai padri costituenti per la nostra Carta. Sinceramente: tutte parole indispensabili?
Un metro più in là del confine, in Svizzera, il modulo che un imprenditore deve riempire per avere un prestito pari a un decimo del fatturato 2019 a interessi zero fino a 500.000 euro, credito da restituire entro cinque anni, consiste in una pagina. Una. Una pagina che chiede una dozzina di dati dell’impresa (nome, indirizzo, numero di dipendenti, iban, telefono, cifra d’affari, email…) ed elenca due manciate di condizioni contrattuali. Tipo quella che chi chiede soldi non può avere in corso una procedura di fallimento. Seguono luogo, data e firma. Fine. Tutto facile. Come di facile lettura, spiegata con chiarezza sul Web, è l’intera legge su questi «crediti transitori». Breve. Asciutta. Alla portata di tutti.
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