A New York, capitale del coronavirus, si scavano nuove fosse comuni
Sull’isola, dal 1980, sono stati sepolti circa 70 mila cadaveri; ma il suo uso come cimitero — e prima anche come rifugio per i senzatetto, fino agli anni Settanta, e prima ancora come penitenziario — è molto più datato, e si calcola che le viscere dell’isola ospitino già più di un milione di cadaveri. Finire a Hart Island, per un newyorkese, è forse il più triste degli epiloghi: significa solitudine estrema, o povertà estrema, o tutte e due. Ma oggi la città non sa più dove mettere i suoi morti: le sepolture sono quadruplicate nelle ultime due settimane, e gli obitori straripano.
Del resto Hart Island ha già visto una pestilenza: nel 1983, nel pieno del panico da Aids, l’associazione di categoria delle imprese funebri di New York chiese ai suoi membri di non trattare i cadaveri di chi era morto di questa nuova spaventosa malattia. Fino al 1986, moltissimi morti di Aids vennero quindi sepolti a Hart Island, in una parte separata dell’isola e a una profondità maggiore. Tra loro c’erano anche dei bambini. Le loro storie, e quelle di tutti coloro che sono stati sepolti a Hart Island dal 1980, sono raccolte con pazienza da una fondazione (qui il loro sito): censiscono un morto dopo l’altro, e chi si ricordasse troppo tardi di qualcuno sepolto qui può scrivere loro la sua storia, per «sottrarli alla morsa dell’anonimato», scrivono sul sito i fondatori. Anche loro, nei giorni del Covid-19, hanno molto lavoro extra.
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