Ilaria Capua: «Le stime sul coronavirus? Tutte sbagliate. Ecco che cosa ci aspetta»

Non sappiamo ancora se le donne hanno realmente un rischio inferiore ai coetanei maschi di sviluppare una forma grave della malattia. Da alcuni dati sembrerebbe eclatante da altri meno, ma io mi azzardo a dire che le donne hanno probabilmente un rischio uguale o inferiore di morire o di sviluppare una malattia grave rispetto agli uomini. Quindi il ripopolamento basato almeno sulla parità di genere avrebbe senso. Sappiamo che ci sono diversi farmaci e protocolli terapeutici innovativi che ci permettono di affinare la cura, ma non credo proprio che si arriverà in tempi brevi a una commercializzazione nelle farmacie ma piuttosto verranno usati per i pazienti ricoverati.

La riflessione

Eppoi, la panacea, il vaccino che di certo non sarà disponibile almeno fino alla fine dell’anno. Non sappiamo né quanto ce ne sarà né se poi gli italiani lo utilizzeranno, visti i precedenti. Incertezza sull’incertezza.

Cosa ci aspetta?

Insomma, cosa ci aspetta? Ci aspetta una riflessione personale, di famiglia e di team di lavoro o di gruppo di svago. Ormai qui non è questione di goccioline o mascherine. È questione di adattare quello che sappiamo sulla prevenzione del Covid-19 alla nostra vita quotidiana per evitare di finire in ospedale noi stessi e fare in modo che non ci finiscano i nostri cari. Perché l’obiettivo prioritario del Paese deve essere quello di far tornare gli ospedali a regimi gestibili, e di recuperare l’arretrato. Non possiamo permetterci un’altra catastrofe con le bare nelle palestre e i morti che non si riescono più a contare. Per forza di cose dovremo ripensare ai nostri regimi organizzativi ed intrattenitivi. Arriveranno grandi cambiamenti sul fronte lavoro che dobbiamo essere pronti ad accogliere con una mentalità nuova, diversa. Il vuoto delle strade e delle piazze che ci separa dalle nostre abitudini del passato fiorirà di nuove sfide e opportunità che dovremo cogliere nella assoluta certezza che saremo noi che dovremo adattarci al coronavirus e non il contrario.

CORRIERE.IT

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