Sottoposti o licenziati. Trump mette nel mirino perfino Fauci

Era prevedibile che il presidente Donald Trump, dopo avere mostrato a più riprese irritazione per i pareri espressi da Anthony Fauci, il grande esperto di malattie infettive che guida il pool scientifico per la pandemia negli Stati Uniti, arrivasse a minacciarne le dimissioni, preannunciate da una fedele esponente repubblicana.

Non si può dire se il presidente porterà a compimento la rimozione dello scienziato che rappresenta la più autorevole voce sulla pandemia che avanza su tutto il continente nord-americano. Ma l’arroganza del potere, la noncuranza del bene collettivo e i precedenti inducono a ritenere che, prima o poi, Fauci sarà malamente liquidato, se continuerà a dire ciò che la sua coscienza di scienziato gli impone.

Trump ha dimesso senza alcun motivo se non la propria presunzione, tra i tanti, il capo dell’Fbi James Comey, il capo dello staff della Casa Bianca John Kelly, il segretario agli Interni Kirstjen Nielsen, il direttore del Nsa Dan Coates, il ministro della Giustizia Jeff Sessions, il segretario di Stato Rex Tillerson, e una lunga lista di altre personalità compresi il responsabile della sua campagna elettorale Steve Bannon, tre consiglieri della sicurezza nazionale (John Bolton, Herbert Raymond McMaster e Michael Flynn), e il generale a 5 stelle James Mattis.

I loro peccati non riguardavano significativi dissensi di linea politica o l’inefficacia istituzionale, bensì il fatto di non avere assecondato i capricci del presidente, e di non avere mostrato quella sudditanza che in genere i padroni chiedono ai loro servitori, e di avere autorevolmente espresso opinioni relative alla materia di cui erano responsabili di fronte alla nazione.

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