Coronavirus, la task force di Colao e i malumori su ruolo e poteri: «Ma allora noi cosa ci stiamo a fare?»
di Marco Galluzzo e Lorenzo Salvia
«Ma allora noi cosa ci stiamo a fare?». Tutti i componenti della task force per la fase due, guidata da Vittorio Colao, hanno sottoscritto un obbligo di riservatezza. E ieri non c’è stata nemmeno la riunione in videoconferenza, che invece si terrà oggi alle 15. Ma ci sono stati diversi contatti tra gli esperti, anche a gruppi. E al di là delle questioni di merito da analizzare, il filo rosso di questi contatti è stata la sorpresa e lo stupore per la richiesta avanzata dalla Lombardia.
L’accerelazione della Lombardia
A cosa serve un gruppo di esperti chiamato a dire la sua sui tempi e sui modi per la riapertura del Paese? Che senso ha studiare nuove proposte se, quando i lavori del gruppo di esperti sono ancora all’inizio, la regione più colpita dall’epidemia e più importante dal punto di vista economico ha già deciso quando e come riaprire? Sorpresa e stupore. Anche perché il sospetto è che l’annuncio di ieri sia arrivato proprio per non farsi indicare la strada dal governo, che dovrebbe recepire in tutto o in parte le raccomandazioni ancora in fase di elaborazione da parte della task force.
«Se continua così, finirà che si tira indietro»
L’accelerazione della Lombardia, del resto, non è il primo episodio che rischia di far apparire fuori contesto e fuori sincrono il gruppo di esperti guidato dall’ex numero uno di Vodafone. Le regioni che avanzano in ordine sparso disegnando una fase due fai da te erano già state un primo motivo di disappunto. E adesso il disappunto rischia di trasformarsi in irritazione, anche se lo spirito di servizio con cui tutti hanno accettato l’incarico non farà trapelare nulla. Eppure. «Colao non ha certo bisogno di farsi vedere in tv o di uno strapuntino da sottosegretario. Se continua così, finirà che si tira indietro» dice un esponente di peso della maggioranza di governo.
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