Sul Mes servono tre chiarimenti dall’Europa, uno dall’Italia
Allo stato attuale il dibattito di esperti e sulla stampa è aperto anche con rassicuranti interviste come quella rilasciata a un quotidiano italiano dal presidente dell’Eurogruppo, il portoghese Mario Centeno, che non mi pare un “falco del Mes”. Per fugare legittime preoccupazioni bisogna che il Governo dia la sua interpretazione autentica prima del 23, dando all’opinione pubblica elementi di valutazione.
La Spagna oggi e il prestito del 2012.
Tra gli elementi da considerare vi è a mio avviso la notizia che la Spagna, colpita duramente dalla pandemia, richiederà l’accesso al Mes-Covid-19 pur essendo, come l’Italia, sostenitrice di interventi molto più incisivi da parte della Ue e dell’Eurozona. L’importanza di questa decisione, se confermata, è che la Spagna ricorse nel 2012 al Mes con l’unico scopo di ristrutturare e ricapitalizzare il sistema bancario colpito dalla crisi immobiliare. Vero è che allora la crisi era asimmetrica e cioè su singoli Paesi per cause economico-finanziarie, mentre qui è simmetrica su tutti i Paesi a causa di una pandemia. Ma è anche vero che adesso il Mes viene offerto a tutti a parità di condizioni e quindi la deroga ai generali criteri di vigilanza vale per tutti. Comunque è interessante ricordare che la Spagna nel 2012 ottenne una linea di credito dal Mes per 100 miliardi di cui ne usò 41 miliardi con una durata media di 12 anni. Il rimborso avvenne poi in anticipo, con un primo versamento volontario dopo 2 anni e con un tasso di interesse medio pagato dalla Spagna intorno alla media dello 0,95%. Le condizionalità vincolanti per il governo spagnolo furono riforme strutturali rivolte al settore bancario. Allora il Mes fu utilizzato con vantaggio dalla Spagna essendo circoscritto il fine. A suo tempo anche io sostenni che i Governi italiani del 2012 e del 2013 avrebbero fatto meglio a seguire la Spagna per la ristrutturazione del nostro sistema bancario. Non ho cambiato idea.
Le domande al Governo italiano, adesso.
Per l’Italia di oggi e nella prospettiva che dopo il Consiglio europeo del 23 aprile la nostra Repubblica richieda una linea di credito al Mes, riteniamo che l’esempio spagnolo non sia secondario, anche se non risolutivo. Le nostre istituzioni dovrebbero però considerare almeno due aspetti “tecnici” anche per dare risposta al dibattito in corso.
Il primo riguarda la specifica delle “spese sanitarie” che richiede una valutazione rigorosa del reale fabbisogno economico dello Stato italiano nel contrasto alla crisi Covid-19. Quali e quante sono le maggiori spese che potrebbero andare dalla sperimentazione farmacologica, alla assistenza territoriale dei malati, al campionamento e screening epidemiologico della popolazione ed oltre. Su questa base potrebbe essere chiesta la linea di credito il cui utilizzo dovrebbe avvenire per fasi temporali in quanto non sempre siamo efficienti per burocrazia e procedure. Bisogna inoltre notare che secondo Il ministro delle Finanze francese i fondi del Mes dovrebbero servire anche per coprire spese non sanitarie e cioè anche i costi del lockdown come associati alla crisi Covid-19. Il Governo sta valutando anche questa possibilità?
Il secondo aspetto riguarda le condizioni finanziarie del credito e cioè durata e tassi. A mio avviso la durata dovrebbe essere lunga e certo non meno di 12 anni che fu la durata media del prestito 2012 alla Spagna per un evento molto meno grave di questo. Lo scaglionamento del credito a fasi ci consentirebbe di graduare l’utilizzo.I tassi di interesse applicati dovrebbero essere calibrati ai minimi che il Mes è in grado di spuntare sul mercato e che al presente sono vicini allo zero. Quindi ben più bassi di quelli su cui si finanzia il nostro debito pubblico che potrebbe beneficiarne anche perché l’uso del Mes aumenta le possibilità della Bce di intervenire con gli acquisti dei nostri fragili titoli di Stato. Il Governo ha fatto tutte queste valutazioni?
La strategia italiana in Europa. Quale?
Infine vi è l’aspetto politico che a mio avviso colloca l’utilizzo del Mes così come è oggi configurato e sottoutilizzato in terza posizione non solo per i problemi italiani ma anche per quelli europei. In particolare l’Italia deve insistere su un potenziamento della Bei – che emette da 60 anni obbligazioni europee – in connessione alle Casse depositi e prestiti. Invece per ora scarseggiano le proposte e così la Bei si limiterà a dare un po’ più di crediti e di garanzie. Bei e Fei devono invece diventare con il Feis il fulcro della politica economica reale centrata su “quattro i” europee: investimenti, industria, infrastrutture e innovazione. Nell’importante discorso al Parlamento europeo, dove ci sono anche riferimenti positivi sull’Italia, la presidente von der Leyen ha di nuovo parlato di “Piano Marshall per la ripresa dell’Europa”, ma purtroppo non ha citato la Bei. Ci vuole quindi un “Piano Delors-Draghi” perché il primo realizzi il “mercato unico” e il secondo “la banca federale”. Essi “risvegliarono” l’Europa che oggi va risvegliata con una potente azione di politica economica reale che data l’urgenza può essere finanziata soprattutto dai Bei-Bond.
L’HUFFPOST
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