Gli esperti e la politica: la paura di fare le scelte
Tutto questo agitarsi disordinato di task force, comitati, iniziative anche lodevoli seppur sparse, cela una paura che è persino superiore a quella del virus. La paura di scegliere, di soppesare i rischi di varia natura per il bene collettivo, guardando avanti e non al giorno per giorno da parte di chi è stato eletto o nominato per questo. Si chiama leadership. È la qualità degli statisti che non sono prigionieri della «veduta corta», come la chiamava Tommaso Padoa-Schioppa, difetto genetico dei governi italiani. Angela Merkel ha spiegato in poche e semplici parole ai suoi concittadini rischi e doveri del «distanziamento sociale». Quando l’autorità è autorevolezza.
Gli italiani sono disciplinati e pazienti. Hanno dato prova di straordinario senso civico. Sono consapevoli che il successo della fase due — da affrontare con tutta la gradualità e la cautela necessarie — dipenderà dall’autodisciplina. Cioè dalla capacità dei singoli e delle aziende di adattarsi al meglio (e su questo ci possiamo scommettere) a un quadro di regole destinato a mutare in profondità le abitudini di vita e di lavoro. Se questo quadro sarà incerto, oscuro e contraddittorio (come la montagna normativa) e accompagnato da polemiche strumentali e piccinerie di parte, il messaggio che arriverà alla gente sarà uno solo: «arrangiatevi». Il che non è diverso da quel «liberi tutti» paventato come disastroso da diversi scienziati. Dunque, si tradurrà in una complicità di fatto con il virus, che si nutre di caos quotidiano, vanificando gli sforzi collettivi.
Mentre la prima linea della sanità combatte ogni giorno per salvare delle vite — con un sacrificio che peserà sulla coscienza nazionale per anni — i vari livelli di governo del Paese non riescono a trovare, almeno per ora, una sintesi responsabile. Medici, infermieri e tutta la grande macchina di competenze e solidarietà che si è messa in moto in queste settimane sanno che ordine delle priorità, chiarezza delle scelte e rispetto dei tempi sono irrinunciabili per salvare un malato. Vale anche per il Paese nel suo complesso. È necessario dunque — come ha scritto il direttore del Corriere Luciano Fontana — un cambio di passo. Una governance dell’emergenza più chiara che rassicuri e indirizzi gli italiani verso l’obiettivo della ripresa e del ritorno alla normalità nella tutela della salute. Senza polemiche di parte o di campanile, senza sfumature regionali o di partito. Senza la cacofonia di segnali contraddittori o minacce di chiudere addirittura i confini della propria regione se le altre affrettassero le aperture. Un percorso nel quale sia chiaro chi ha la responsabilità delle decisioni. Nomi e cognomi. Senza l’alibi della risposta certa della scienza che non potrà mai venire allo stato attuale. La scelta sarà solo politica. Una responsabilità piena, non condivisa, non condizionata. E aiuterà, lungo questa strada, ammettere errori e sottovalutazioni. Ne hanno fatti tutti. In tutti i Paesi. Sostenere che le colpe eventuali sono solo dei tecnici (nominati da chi?) suona infantile e arrogante. Non aiuta certo ad accrescere la fiducia dei cittadini disorientati. E lascia scoperti eserciti stremati di combattenti in prima linea. Nella storia italiana è già successo.
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