La strage silenziosa nelle case per anziani in tutto il mondo

Gli agenti hanno perlustrato il capanno, ma non hanno trovato nulla. Sono entrati nell’edificio e alla fine hanno scoperto che nella piccola camera mortuaria, dove ci potevano stare non più di quattro bare, erano impilati 17 cadaveri. Si è poi ricostruito che quei morti erano solo una parte su un totale di 68, di cui 26 erano risultati positivi al Covid-19. Tra le vittime, anche due infermiere. «Sono stati travolti dal virus», ha commentato il capo della polizia locale, Eric Danielson.

Piano piano è venuto fuori il quadro di un contagio incontrollato: nella struttura c’erano altri 76 ospiti infettati, più 46 membri dello staff, compreso uno degli amministratori. Il resto è facile da immaginare: polemiche politiche, «l’indignazione» del Governatore, il democratico Philip Murphy; l’apertura di un’indagine. «WE NEED HELP», ha scritto in maiuscolo su Facebook un rappresentante dell’Andover Subacute & Rehab Center. Hanno bisogno di aiuto.

La strage silenziosa. Non esiste un conteggio preciso, ma incrociando fonti diverse di dati, si arriva alla conclusione che circa il 10% delle vittime del coronavirus negli Stati Uniti erano anziani residenti nelle case di riposo. Qualche giorno fa il Wall Street Journal ha chiesto alle amministrazioni dei 50 Stati quante fossero le vittime del Covid-19 in questo tipo di struttura. Hanno risposto 37 Stati. Ne è venuto fuori un numero importante: 2.300. Ma, forse, è una stima inferiore alla realtà delle cose, visto che solo nello Stato di New York i morti sarebbero circa 2.000.

L’epidemia ha preso velocità in queste comunità prive di protezione. A metà febbraio, quando ancora negli Stati Uniti c’erano solo 60 casi positivi, si scoprì che in una struttura di Kirkland, nello Stato di Washington, avevano contratto il coronavirus 27 su 108 ospiti e 25 su 180 componenti dello staff. Anche nel territorio di New York, ora l’epicentro della crisi, il primo focolaio si è acceso nella Contea di Westchester, proprio in due case-ricovero: 175 deceduti.

Diritto alla vita: la pandemia ha acceso una luce sinistra sulle condizioni in cui sono stati abbandonati tanti esseri umani più vicini degli altri al capolinea, ma con uguale diritto alla vita e alla tutela della salute. Le storie che arrivano da ogni parte degli Stati Uniti, dal New Hampshire alla California, si somigliano tutte purtroppo. Mancanza di materiali di protezione, generale impreparazione del personale. Il Centers for Medicare and Medicaid Services, l’autorità federale che sovrintende alle «nursing homes», ora ha imposto norme di sicurezza, promettendo anche l’arrivo dei tamponi per testare gli ospiti. Speriamo che sia solo l’inizio di una rifondazione che appare necessaria.

Spagna: trovati nei loro letti,
sepolti senza accertamenti

di Elisabetta Rosaspina

In Spagna il conto, ancora provvisorio, è salatissimo: 13.862 anziani sono morti nelle residenze geriatriche, e soltanto poco più della metà rientrano nel conteggio ufficiale delle vittime da coronavirus, a ieri 20.453 su 195.944 infettati nel Paese dall’inizio della pandemia. Il calcolo delle perdite inflitte dal coronavirus è controverso in generale: la Catalogna ha quasi raddoppiato il suo bilancio dopo aver integrato i dati ufficiali generati dagli ospedali con quelli forniti dalle imprese di pompe funebri, includendo quindi vittime non certificate del Covid-19, ma solamente sospette.

In molti centri per anziani, particolarmente nelle aree rurali della Spagna, non sono stati fatti tamponi o test, tantomeno sono stati condotti accertamenti a domicilio su quanti sono spirati nel loro letto, come denunciano da settimane medici, periti e funzionari dell’anagrafe. Incrociando i certificati di morte e i permessi di sepoltura, i conti non tornano con le statistiche fornite quotidianamente dal ministero della Sanità.

Le Rsa restano comunque il «ground zero» dell’attacco del virus e l’epicentro è localizzato nelle comunità autonome di Madrid, Castiglia e Léon, Valencia, Asturie e la stessa Catalogna. Le amministrazioni locali hanno «commissariato» quasi 200 strutture dove il picco della mortalità era macroscopicamente più elevato.

A Madrid nelle 13 residenze passate sotto controllo degli ispettori sono stati registrati 500 decessi dall’ 8 marzo. Sono tante le domande a cui cercano risposta i familiari che si sono rivolti ai tribunali: perché tanti anziani sono stati abbandonati al loro destino? Hanno ricevuto ossigeno? Non erano ritenuti così gravi da essere trasportati in ospedale? E se il ricovero invece era stato richiesto, chi lo ha negato? Una prima inchiesta è stata aperta il 22 marzo quando l’Ume, l’Unità militare d’emergenza, ha trovato in qualche residenza anziani morti nei loro letti. Le indagini sono poi state delegate dalla Procura generale alle procure locali. Risultano aperti 38 procedimenti, di cui 19 nella sola comunità autonoma di Madrid, per chiarire cause e circostanze dell’altissimo livello di mortalità (con punte attorno al 10%) in altrettanti centri geriatrici. Le ipotesi di reato vanno dall’omicidio colposo ai maltrattamenti e all’abbandono.

Grave anche la situazione a Barcellona. La consigliera della Sanità in Catalogna, Alba Vergés, ha dichiarato che il coronavirus si è diffuso in almeno 600 del migliaio di residenze per anziani distribuite nella regione. A rischio dunque 35 mila ospiti su 60 mila. Centinaia di loro sono stati rimandati a casa, dalle loro famiglie, altri sono stati trasferiti in centri più sicuri, ma nella stragrande maggioranza dei casi mancano spazi sufficienti per isolare i positivi, o comunque i sintomatici, dai sani.

Dati più confortanti in alcune province, soprattutto nel sud. Quella di Cordoba, in Andalusia, ha contato circa 320 casi di contagio nelle case di riposo, con un tasso di letalità del 9% contro il 18% della regione.

Il ministero della Sanità ha cominciato da pochi giorni a distribuire migliaia di kit per test rapidi nelle Rsa spagnole per identificare con maggiore sicurezza i casi positivi.

Francia: dall’11 maggio (forse) i familiari potranno dire addio

di Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi

Gli «Ehpad» (Istituti d’accoglienza per anziani non autonomi) rappresentano quasi il 40% della mortalità da Covid-19 in Francia. Nei primi giorni gli anziani morti negli Ehpad per il coronavirus non venivano contati e, quando le cifre hanno cominciato a pervenire, il bilancio quotidiano è aumentato di colpo: siamo a circa 18 mila morti in Francia, dei quali 6.524 nei 5.300 istituti per anziani. In queste strutture si sono verificate – in peggio – tutte le mancanze viste nel resto del Paese: mancanze di mascherine per medici e infermieri e incapacità di fare i test e quindi di isolare i pazienti già contagiati, con in più talvolta la riluttanza dei dirigenti degli Ehpad a comunicare le cifre e l’entità del disastro.

La situazione è più grave nella regione Grand Est (quella di Strasburgo e Mulhouse) e nell’Ile de France (Parigi), ma casi drammatici si sono verificati anche nelle zone meno colpite. Per esempio nell’Ehpad di Mougins, vicino a Cannes, sono morti 31 residenti, uno su quattro, e alcuni famigliari hanno presentato denuncia contro ignoti per «omicidio involontario e mancata assistenza a persona in pericolo».

La quarantena osservata per proteggere gli ospiti è servita anche a tenere lontani i familiari, rimasti spesso all’oscuro di quanto accadeva all’interno delle strutture. Molti anziani sono morti senza nessuno accanto, e i figli sono venuti a saperlo con molto ritardo. Della drammatica situazione negli Ehpad ha parlato il presidente Emmanuel Macron nel suo ultimo discorso ai francesi, il lunedì di Pasqua, dicendo che «le case di riposo dovranno organizzarsi perché i familiari possano fare visita e dire addio ai pazienti in fin di vita» a partire dall’11 maggio, data della graduale riapertura del Paese. Ma il ministro della Sanità, Olivier Véran, frena quanto ai tempi: «Non possiamo permetterci altri drammi collettivi. Permetteremo le visite quando il rischio di contagio sarà sufficientemente basso».

Gran Bretagna: i malati degli ospizi rifiutati dagli ospedali

di Luigi Ippolito, corrispondente da Londra

I decessi attribuiti al coronavirus sono ormai quasi 16 mila in Gran Bretagna. Ma potrebbe essere un conteggio al ribasso: perché vengono considerati solo i morti in ospedale. Mentre nelle case di riposo per anziani è in corso una strage silenziosa. Si stima che possano essere 4 mila le vittime del virus nelle «care homes», le strutture dove quasi tutti gli anziani britannici trascorrono l’ultima parte della loro vita.

Qui non esiste una rete di supporto familiare né si fa di solito ricorso a badanti: a una certa età si va negli «ospizi», che sono diffusi in maniera capillare sul territorio. Ma quel che è peggio, per quanto riguarda la maniera in cui è stata affrontata l’epidemia, è che sono saltate fuori le linee guida delle autorità sanitarie in materia di anziani: in pratica, si raccomanda di ricoverare gli anziani malati in ospedale solo se «appropriato», mentre sono da preferire le cure palliative nelle stesse case di riposo, e si avverte che le ambulanze potrebbero rifiutarsi di trasportare gli anziani in quanto non prioritari.

Ma in realtà in Gran Bretagna di letti in terapia intensiva c’è abbondanza: gli ospedali d’emergenza costruiti in tutta fretta sono vuoti, con sole poche decine di pazienti in cura a fronte di migliaia di posti. Nonostante ciò diverse case di riposo sono state avvertite esplicitamente che nessuno dei loro ospiti, per quanto malato, verrà mai ammesso in un ospedale.

Sono emersi dei casi spaventosi: come quello della Philia Care Home di Peterborough, dove su 18 residenti sei sono morti e altri 8 sono stati contagiati. Con i familiari degli anziani che hanno accusato i dirigenti di comportamento criminale. Storia simile alla Nursing Home di Bradwell Hall, dove sono deceduti già 24 residenti su 140.

Germania: l’età media
dei morti è 82 anni

di Paolo Valentino, corrispondente da Berlino

Anche in Germania le case di cura e di riposo per anziani sono diventate uno dei più problematici hotspot della pandemia. Circa 800 mila persone, il 70% delle quali con problemi di demenza, vivono nelle oltre 14 mila strutture di questo tipo esistenti in Germania. Con loro, ad altissimo rischio sono anche i quasi 15 mila tra medici e paramedici che vi lavorano.

Sono circa 40 mila, su un totale di oltre 140 mila, i contagiati da Covid-19 di età superiore a 60 anni nei sedici Laender federali. Una percentuale relativamente bassa rispetto al resto d’Europa, in particolare all’Italia e una delle ragioni per cui il tasso di letalità in Germania rimane contenuto, poco sopra il 2%.

La mortalità degli anziani tuttavia è altissima come altrove: l’età media dei morti in Germania è infatti di 82 anni. Quelle di età superiore a 70 anni rappresentano l’86% del totale delle vittime tedesche, che ha superato quota 3.600. Con le parole di Angela Merkel, la difesa degli ospedali e delle case per anziani rimane un aspetto decisivo della lotta contro il coronavirus: «In quelle strutture vivono persone più esposte alle infezioni, che hanno bisogno di una protezione particolare».

Nell’ultimo gabinetto di crisi, di cui fanno parte la cancelliera e i premier dei Laender, è stato deciso di mettere a punto un pacchetto di misure coordinate a questo scopo, mentre finora ogni Land ha fatto da sé. Così, per esempio, mentre la Bassa Sassonia e la Baviera hanno messo uno stop ai ricoveri nelle case di cura per anziani, il Nord Reno-Vestfalia li accetta ma li mette preventivamente in quarantena stretta per due settimane. In altri Laender le cliniche o gli ospizi finora sono lasciati liberi di decidere.

Il nuovo concetto prevede che sia presa in considerazione in primo luogo la necessità di impedire l’espandersi del contagio, ma anche di evitare «il totale isolamento sociale dei pazienti», che avrebbe altre gravi conseguenze sulla loro salute mentale.

Il caso più clamoroso è quello di una casa di riposo per malati di demenza senile di Wolfsburg, la Hans-Lilje-Heims gestita dalla Diaconia evangelica, dove sono morte finora 33 persone e si registrano 165 contagiati. Alla fine di marzo i contagi della clinica rappresentavano la metà di tutti quelli in città, che conta 125 mila abitanti. La vicenda è diventata un caso per la procura di Braunschweig, dopo che un avvocato ha presentato denuncia contro la Diaconia per omicidio colposo. L’accusa è di aver trascurato le misure igieniche, fra le quali l’uso delle mascherine. La clinica nel frattempo non accetta più pazienti. Casi simili si sono verificati in una clinica di Wurzburg, dove sono morte 13 persone, nel distretto di Oldenburg in Bassa Sassonia, in Baden-Wuerttenberg e in Schleswig-Holstein.

Wuhan: quella Rsa vicina
al mercato del coronavirus

di Paolo Salom

La sfortuna, davvero grande, dell’Istituto per la cura sociale, una Rsa per anziani di Wuhan, è stata determinata dalla sua posizione: a un solo isolato dal mercato dove (pare) ha avuto inizio l’epidemia. In questa struttura, riferisce Caixin, giornale cinese non schierato, sarebbero morti, a febbraio, 19 ospiti ultra settantenni. Usiamo il condizionale perché le autorità hanno contestato quanto affermato nell’inchiesta, ammettendo «soltanto un decesso» legato al Covid-19: sottoposto ad esami in un vicino ospedale, l’ospite avrebbe mostrato prima di spirare uno stato dei polmoni compatibile con gli effetti del coronavirus.

Altre residenze protette hanno avuto «lutti ravvicinati»: come l’istituto Gu Tian Rong Ji, sempre a Wuhan. Impossibile chiarire le cause al di là di ogni ragionevole dubbio, tuttavia. Nessun esame post mortem è stato effettuato e dunque i parenti sono rimasti nell’incertezza. Tranne una donna che ha raccontato come la madre ottantacinquenne sarebbe morta dopo aver contratto l’infezione da un addetto poi risultato positivo al virus.

In Cina, come in Italia, le case di cura per anziani si sono trovate più o meno in situazioni analoghe, almeno agli inizi dell’epidemia. A Wuhan, come in altri centri della provincia dello Hubei, sono mancati gli strumenti diagnostici (tamponi) e le procedure di prevenzione non sono scattate con sufficiente celerità.

Così molti ospiti sarebbero stati infettati proprio da chi li aveva in cura (ma questa versione è respinta dai responsabili). Difficile entrare più in profondità: reperire dati è proibitivo in un contesto, parliamo della Repubblica Popolare, dove l’accesso alle informazioni è rigidamente controllato. Certo, rispetto alla popolazione, è possibile affermare che le case di riposo sono un fenomeno recente.

Nella millenaria tradizione cinese la cura degli anziani è demandata ai figli o ai parenti più stretti. Il ruolo di nonni nella società, poi, è fondamentale, perché si occupano dei nipoti mentre i figli cercano fortuna lontano da casa. Vero è che l’inurbazione degli ultimi decenni, spopolando le campagne, ha anche trasformato le abitudini delle ultime generazioni, allentando i legami e spingendo alla moltiplicazione (almeno nelle città) delle strutture in grado di prendersi cura di «yeye» e «nainai», nonni e nonne, ormai in là con l’età (e la salute). La pandemia ha quindi attaccato le loro residenze, come e quanto era prevedibile.

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