Patente di immunità, a cosa serve davvero?

di GIUSEPPE DEL BELLO

I patentini di un tempo erano obbligatori per guidare la moto a 16 anni. Problema superato. Oggi, il patentino-tessera, quello che certifica il tuo stato immunitario, dovrebbe servire per dimostrare che Covid-19 non mette a rischio nessuno. Né il titolare del documento, né tanto meno le persone con cui si è o si è stati in contatto. E a patentino ottenuto, il significato sarebbe inequivocabile. Come dire “sta tranquillo, non sono un potenziale killer”. Giusto o sbagliato? Da giorni è al centro della discussione scientifica, tra chi punta a legittimarlo e chi, invece, ne prende le distanze. Anzi, più che prenderne le distanze, ne sottolinea la scarsa efficacia (o la totale inutilità) se concepito secondo modalità e percorsi diagnostici attualmente disponibili.

Che cos’è l’immunità?

Va chiarito in premessa cosa s’intende per immunità e cosa garantisce rispetto al contagio. Immunità e difesa sono sinonimi, e chi le rappresenta sono gli anticorpi. Ne abbiamo di tantissimi tipi, ognuno con il suo ruolo difensivo. Quando scatta l’immunità? A monte c’è il viaggio che compie il virus, una volta insinuatosi nel nostro organismo. Come ogni ospite che si rispetti, appena trova una porta aperta, si accomoda nel nuovo ambiente e cerca di replicarsi. In media, per soddisfare questo primo step, Covid-19 impiega fino a tre giorni, poi, dopo aver preso possesso della nuova casa, induce la manifestazione dei sintomi. E questo avviene tra il settimo e il quattordicesimo giorno.

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