Coronavirus, aerei e nuove regole: non trema solo Ryanair. Le compagnie: «Qui si ferma tutto»
La «fase 2» della crisi sanitaria rischia di rendere impossibile il pieno ritorno all’attività delle compagnie aeree e degli aeroporti se dovesse essere mantenuto il distanziamento sociale di 1-1,5 metri anche dopo 2020. Non solo per le difficoltà logistiche, ma anche per le ricadute economiche che avrebbe sulle casse delle società, costringendo per esempio i vettori a sacrificare almeno un terzo dei ricavi per decollo non potendo più vendere i sedili centrali delle file per poterli lasciare vuoti. È quanto emerge dai tavoli di lavoro che gli operatori del settore stanno svolgendo questi giorni. Per tutti l’orizzonte temporale è quasi identico: «Se le regole applicate in Italia — il Paese per ora più rigido su questo fronte — da maggio dovessero diventare comunitarie e inoltrarsi oltre la prossima stagione invernale rischiamo di non avere più un trasporto aereo», confidano al Corriere sette realtà tra vettori e società di gestione degli scali.
Le conseguenze
Tra nazioni chiuse in casa per contenere la diffusione del coronavirus e blocchi agli spostamenti oltreconfine due mesi dopo l’inizio effettivo della crisi — il 24 febbraio scorso — il trasporto aereo si ritrova sostanzialmente senza più passeggeri e voli. Due aerei commerciali su tre dell’intera flotta mondiale sono stati parcheggiati e quei pochi decolli che avvengono registrano tassi di riempimento dei velivoli a una cifra percentuale. Secondo Icao, l’agenzia Onu dell’aviazione civile, nei primi nove mesi di quest’anno potrebbero venire a mancare fino a 1,12 miliardi di viaggiatori rispetto allo stesso periodo del 2019, un calo del 67%. Secondo la Iata, la principale associazione internazionale dei vettori, la crisi sanitaria ridurrà di 314 miliardi di dollari i ricavi del 2020.
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