Coronavirus, Colao: «Un’apertura a ondate per testare il sistema. L’app entro maggio oppure servirà a poco»
E se l’epidemia riparte?
«L’approccio
non dovrà essere nazionale e neppure regionale, ma microgeografico:
occorre intervenire il più in fretta possibile, nella zona più piccola
possibile. Abbiamo indicato al governo un processo. L’importante è che
le misure siano tempestive; nella speranza che non siano necessarie».
Appunto:
perché trattare allo stesso modo l’Umbria, che ha meno di dieci casi al
giorno, e la Lombardia, che ne ha quasi mille? Non è meglio
differenziare le regole a seconda delle Regioni?
«Io
ho mezza famiglia a Catanzaro e mezza a Brescia. I numeri dell’epidemia
sono molto distanti; nel lungo termine non li si può gestire allo
stesso modo. Dovremo rispondere diversamente, per non penalizzare le
zone che hanno meno casi. L’importante è che l’Italia si doti di un
sistema per condividere le informazioni. La trasparenza sarà
fondamentale. Se tanti lombardi e piemontesi vanno in Liguria, ogni
Regione guarderà i suoi numeri, ma il ministero della Sanità dovrà
guardare alle interrelazioni, per capire se il movimento crea focolai.
Lo stesso vale per il corridoio di trasporto tra Lazio e Toscana. I
numeri ci diranno quando potremo proseguire con le riaperture,
minimizzando il danno economico e massimizzando la sicurezza».
Molte aziende sono aperte. Ma non ci sono regole chiare sui test.
«Gli
italiani devono abituarsi a convivere con il problema. Molte imprese si
stanno attrezzando per inserire i test nelle loro procedure di
sicurezza interne; il Comitato tecnico-scientifico individuerà quello
più affidabile. A livello individuale abbiamo l’App, a livello di grandi
numeri lo screening».
L’App servirà davvero?
«Potrà
servire se arriva in fretta, e se la scarica la grande maggioranza
degli italiani. È importante lanciarla entro la fine di maggio; se
quest’estate l’avremo tutti o quasi, bene; altrimenti servirà a poco».
Se la sente di garantire che non sarà una violazione della privacy da parte dello Stato?
«Non
è così. Non è stato scelto il sistema centralizzato, che manteneva
l’identità di tutti i contatti. E’ stata scelta l’altra soluzione,
quella Apple-Google. I contatti stanno solo sui telefonini delle
persone. Quando scopro di essere contagiato, sono io che metto dentro un
codice, che rilascia una serie di codici alle persone con cui sono
entrato in contatto. Tutto avviene in modo anonimo: l’individuo viene
informato dal sistema, ma il sistema non sa chi sono i due; la privacy
dei due individui è mantenuta. Nessuno conosce l’altro. Il sistema
sanitario locale — se vorrà — potrà disegnare l’App in modo da
contattare i cittadini, ma in trasparenza».
Pensa davvero che gli italiani la scaricheranno?
«Se
gli verrà spiegato bene, lo faranno. Se vivessi in un piccolo paese e
fossi contagiato, avviserei chi mi è stato vicino di stare attento.
L’App lo fa in automatico e anonimamente: mi avviserebbe che sono stato
in contatto con un contagiato, e devo chiamare il servizio sanitario.
Non vedo perché gli italiani dovrebbero rinunciare a informazioni che
non limitano ma rafforzano la loro libertà».
Come faranno i negozianti ad attendere il 18 maggio? E i bar e ristoranti a resistere fino a giugno?
«Le
riaperture di negozi e bar, e tantomeno delle chiese, non sono di
competenza del nostro Comitato; sono decise dal governo sulla base di
input sanitari. Noi siamo advisor: ci è stato chiesto di dare consigli
su come far ripartire costruzioni e manifattura. La riapertura
progressiva ti fa capire meglio a quale velocità devi andare. È una
malattia che non ha una mortalità altissima, ma può mettere in ginocchio
il sistema sanitario; è un dovere morale evitarlo. Sento parlare di
distanziamento sociale; dovremmo parlare di distanziamento fisico. La
società deve essere più unita e coesa di prima. È il momento di
collaborare, tutti: andando in ufficio in bicicletta, spalmando gli
orari di ingresso, continuando con lo smart-working».
Si dice che siate troppi. State funzionando? E quanto costate?
«Troppi?
La presidenza del Consiglio ha creato tre strutture: il commissario
Covid che garantisce che arrivino mascherine e altro materiale; il
Comitato tecnico-scientifico, che esiste in tutti i Paesi; e noi, che
siamo chiamati ora a fare proposte per il rilancio, per il 2020 e il
2021. Noi del Comitato economico-sociale siamo tutti volontari. Nessuno
guadagna nulla, come è giusto che sia».
Lei è qui per prendere il posto di Conte?
«Non
ho nessuna intenzione di fare politica. Mi è stato chiesto di aiutare a
gestire una fase complicata, con un gruppo di persone esperte di
diverse materie».
Chi gliel’ha chiesto? Conte o Mattarella?
«Il
presidente Conte. Stavo passeggiando in giardino, qui a Londra si può.
Ho chiesto due ore per avvisare la General Atlantic, cui dedicavo metà
del mio tempo, e le altre società cui collaboravo. Mi hanno risposto: of
course, naturalmente puoi e devi fare qualcosa per il tuo Paese. Alla
fine tornerò al mio lavoro. Molti manager l’hanno fatto, in molti Paesi;
solo in Italia si pensa che vogliano fare politica. Sono state scritte
anche altre inesattezze».
Quali?
«Non
abbiamo mai proposto di chiudere in casa i sessantenni. L’hanno creduto
in tanti, anche Fiorello. Abbiamo solo posto il tema dei muratori nei
piccoli cantieri e dei lavoratori nelle manifatture minori».
Quali misure proporrà per il rilancio?
«Siamo all’inizio: abbiamo appena ascoltato il presidente della conferenza dei rettori, nei prossimi giorni sentiremo tutte le categorie. Siamo divisi in sei gruppi di lavoro, che coprono tutte le parti produttive e sociali: aziende, istruzione, turismo, cultura, famiglie, pubblica amministrazione… Abbiamo l’opportunità di fare in ognuno di questi campi cose che avrebbero richiesto molto più tempo. Mai lasciarsi sfuggire una crisi».
CORRIERE.IT
Pages: 1 2