Non andrà tutto bene
Servirebbe che fossimo meno isterici, tutti quanti, compresi noi che inseguiamo e commentiamo notizie. Siamo di fronte a un nemico formidabile, noi stretti all’angolo e il virus nella posizione win-win: o vince o vince (per ora). Lo studio del Comitato tecnico scientifico, sulle cui proiezioni il premier Giuseppe Conte ha deciso per una riapertura blanda, prevede che, se il 4 maggio si procedesse con un caro saluto al lockdown, l’8 giugno si raggiungerebbe il picco dei contagi, con 151 mila malati in necessità di terapia intensiva, e 430 mila in totale entro la fine dell’anno. Di posti disponibili, in terapia intensiva, ne abbiamo circa diecimila. Fate voi la stima dei morti. E però se non si riapre, o si riapre per quel poco che si può, il Pil va giù dell’otto, dieci, dodici, quindici per cento. Vuol dire milioni di disoccupati, meno risorse per l’assistenza sanitaria, per i sussidi, perdita di competitività.
La scelta del governo di restare a metà strada, e limitare i danni di qui e di là, forse è quella giusta o forse no. Non lo sappiamo. Non avremo mai la controprova. Soprattutto, al contrario del virus, la posizione di Conte è lose-lose: o perde o perde. Se tiene chiuso si addosseranno a lui le colpe dell’impoverimento, se riapre gli si addosseranno quelle dell’ecatombe. Li abbiamo visti, in questi mesi, quelli arrabbiati col mondo perché si doveva sbarrare, poi arrabbiati perché si doveva serrare, poi di nuovo arrabbiati perché si era serrato fin troppo.
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