Fase 2, il Paese alla prova di civiltà
Abbiamo tutti voglia di tornare, per quanto possibile, alla nostra «normalità». Ma la memoria di queste settimane terribili, con i caschi delle terapie intensive e la sfilata delle bare di Bergamo, può e deve farci da guida. Gli scienziati non escludono una seconda e persino una terza ondata, che potrebbero mettere di nuovo a dura prova il servizio sanitario e l’esercito di medici e infermieri che si sono battuti per salvare più vite possibile, troppe volte perdendo la propria. Non dimentichiamo, facciamo tesoro. Pretendiamo da chi ci governa, a livello nazionale e regionale, di smetterla con gli annunci, con le fughe in avanti, con gli scontri per la visibilità, con i pasticci giuridici e lessicali. In una fase così delicata non è possibile che un decreto da 55 miliardi che si chiama Aprile scivoli a Maggio. Non è ammissibile che un decreto del presidente del Consiglio presenti parole ambigue o zone d’ombra, tanto che da giorni non si riesce a comprendere chi sono le persone che potremo incontrare. Alimentando peraltro i sospetti di incostituzionalità di norme così sensibili per i diritti e le libertà individuali. E non appare saggio che Palazzo Chigi risponda ai dubbi dei cittadini affidandosi allo strumento delle Faq sul sito del governo: le risposte alle domande frequenti non sono fonte giuridica e dunque, rispetto a eventuali contenziosi, lasciano il tempo che trovano.
Oggi più che mai le norme sulla ripartenza devono essere certe e chiare, perché nessuno possa dire «io non sapevo, io non ho capito».
Non è l’ora degli alibi. Non è ora di dividersi sul primato della salute rispetto all’economia (o viceversa) e non può essere il tempo di ributtarsi in una campagna elettorale di cui, già da giorni, si sentono in lontananza le grida. Siamo davanti a una sfida epocale, da affrontare con tutte le risorse di unità e lungimiranza e con una visione del futuro che tarda a prendere forma.
La salute degli italiani resta minacciata dal virus. La voragine del Pil farà scendere i consumi e salire la povertà. Le famiglie aspettano aiuti per fare fronte all’emergenza quotidiana. Il mondo della cultura attende risposte. Tanti lavoratori rischiano il posto, tanti purtroppo lo hanno già perso e, con le scuole chiuse, moltissime sono donne che si sono ritrovate al bivio tra uno stipendio e i figli senza neppure poter davvero scegliere la strada davanti a sé.
Che sia o no, per noi italiani, il primo «dopoguerra» del millennio, la ricostruzione è un’architettura che non consente errori e mattoni fuori posto e impone a ciascuno di fare la propria parte.
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