Un disegno per farcela

di   Aldo Cazzullo

C’è qualcosa di grandioso, nell’Italia che si è rimessa al lavoro. Nelle valli bresciane e bergamasche di cui tanti italiani ignorano l’esistenza — la Val Trompia, la Val Sabbia, la Val Seriana, la Val Camonica, zone molto colpite dal coronavirus — sono ripartite le fonderie e le presse, le filiere dell’alluminio e del ferro. Un popolo laborioso affronta la pandemia. E prova a riprendersi i mercati, dovendo a volte competere con una Germania che riversa mille miliardi di euro nella propria industria, con una Cina che – se non la colpa – porta la responsabilità del virus, e alla fine ne soffrirà meno dell’Occidente.

Nello stesso tempo, c’è qualcosa di fatuo nel dibattito pubblico. I social si occupano principalmente di runner e di estetisti. Milioni di italiani discutono dell’acconciatura di una brava giornalista televisiva. A giudicare dalla rete, sembra che il principale problema nazionale sia prenotare una messa in piega o una seduta di depilazione maschile. E poi i parchi aperti o chiusi, il caffè da asporto, il cane esausto per le passeggiate, il fitness, gli affetti stabili, il cugino di sesto grado…

Ma ci rendiamo conto che rischiamo di perdere l’ossatura del nostro sistema produttivo, la manifattura? Siamo consapevoli che non si parla della scuola, come se fosse possibile farne a meno, come se non fosse centrale e strategica per costruire il nostro avvenire?

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