La partita di poker
Eccola, la partita di poker, quando la mano passa a Bonafede: “Vediamo le carte che tira fuori – dice Renzi ai suoi – e se è convincente, noi votiamo contro la sfiducia, altrimenti…”. Già, altrimenti. La destra, compreso il partito fondato da Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, condannato da Nino Di Matteo in quanto ambasciatore tra il Cavaliere e Cosa Nostra, ha presentato una mozione di sfiducia a Bonafede, dopo il j’accuse del pm, considerato finora un “professionista dell’antimafia”. Mossa politica, con buona pace del merito.
È chiaro che se un pezzo della maggioranza dovesse votarla, automaticamente si aprirebbe la crisi di Governo. Al momento Renzi gioca a far salire la tensione, perché è l’occasione per giocare anche sul resto. Questo il senso politico, oltre allo smisurato piacere personale di tenere sulla graticola un ministro che, tecnicamente, detesta, contraccambiato con eguale sentimento. È per questo che ha spedito i capigruppo da Conte, con l’obiettivo di ottenere un riconoscimento politico complessivo: “Come va a finire su Bonafede? La questione è aperta, 1 X 2. Dipende da Conte, e ho detto tutto”.
E non è un caso che, proprio nella giornata di oggi, il segretario del Pd abbia cambiato passo, ritirando fuori quella parola magica, “voto”, che sul tavolo verde equivale a dire “vedo”, convinto che quello che di Renzi sia un bluff. È tutta qui la partita, tra un “piatto” e un “vedo”. Poker col morto, inteso come 5 stelle, l’ultimo partito di questa cosiddetta coalizione, che mentre sogna un Governo da solo in prospettiva (lo ha dichiarato ieri Di Maio), sta il più possibile fuori da questa mano. Mano che rappresenta una dura replica della storia, al limite della dissoluzione identitaria: il fondatore morale della Repubblica pentastellata, Di Matteo, denuncia, se non una trattativa, quantomeno pressioni che avrebbero impedito la sua nomina al Dap.
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