Islamica e felice Silvia l’ingrata

Alessandro Sallusti

Silvia Romano, la giovane volontaria di Milano rapita un anno e mezzo fa in Kenya, è tornata a casa sana e salva.

Siamo felici per lei, la sua famiglia, i suoi amici e complimenti ai nostri servizi segreti che hanno saputo dipanare con pazienza l’intricata matassa. Detto questo, vedere in diretta tv Silvia sbucare dal portellone dell’aereo di Stato che l’ha riportata in Italia velata e in perfetta divisa da donna islamica ci ha lasciato più che perplessi. Tra i simboli della cultura che l’ha rapita, segregata e venduta più volte come donna oggetto e oggetto di scambio e ricatto e la cultura che l’ha scovata e liberata dai suoi carcerieri e che ha pagato il riscatto (quattro milioni di euro), Silvia ha deciso di omaggiare la prima e di umiliare la seconda, che non solo l’ha ricevuta manco fosse un’eroina (non si capisce di cosa) ma ha fatto pure suonare a festa le campane della chiesa – ovviamente cattolica – del suo quartiere.

Libera ovviamente la ragazza di fare ciò che crede, libera di avere abbracciato in questo periodo, come pare sia successo, la religione islamica e mettiamo pure in conto la prostrazione psicologica cui è stata sottoposta. Ma proprio per questo, quel velo esibito suona come un insulto alle libertà delle donne e dell’Occidente.

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