Aiuti di stato alle imprese: la Germania può spendere 1000 miliardi, l’Italia 300
Nell’elenco delle richieste c’è di tutto e ogni giorno vengono approvate nuove richieste. La Francia intende aiutare pescatori e floricultori e dare 3.500 euro al mese a fondo perduto agli autonomi e alle microimprese. Il Portogallo presta 3 miliardi ai suoi ristoratori e agli agenti di viaggio. La Danimarca elargisce 3 mila euro al mese come sostegno al reddito dei lavoratori autonomi e finanzierà a tassi agevolati le startup per 296 milioni di euro. C’è anche il Regno Unito che avrà pure votato la Brexit, ma fin quando non sarà effettivamente uscito dall’Unione deve sottostare ai vincoli di Bruxelles. Per gli inglesi è appena stato approvato un pacchetto di aiuti per altri 10,3 miliardi come sostegno al reddito (fino all’80% di quello mensile pre-Covid) ai lavoratori autonomi e ai professionisti. I Paesi Bassi rifonderanno fino al 70% delle perdite gli agricoltori e i coltivatori di patate con aiuti per 650 milioni di euro.
Danimarca: 12 milioni per i lavoratori dello spettacolo
Il Paese più veloce a muoversi, ancora prima che fossero varate le nuove regole anti Covid-19, utilizzando quindi quelle ordinarie, è stato la Danimarca: già il 12 marzo aveva chiesto all’Europa il permesso di aiuti di Stato per Coronavirus sotto forma di contributi a fondo perduto agli operatori dello spettacolo e della cultura, per risarcirli delle perdite per l’annullamento degli eventi in programma. Il governo di Copenaghen ha messo a disposizione 12 milioni di euro. Finora è l’unico paese europeo a fare qualcosa di concreto per una categoria che sarà anche l’ultima a riprendere le attività.
A utilizzare invece per primi gli aiuti di Stato secondo le nuove regole «straordinarie» della Ue varate il 19 marzo sono stati i francesi: Il governo di Emmanuel Macron ha presentato il giorno stesso uno schema di aiuti per 300 miliardi e 48 ore dopo la Commissione l’aveva già approvato. Il 20 marzo è arrivata la Germania: la Kfw – la Cassa depositi e prestiti tedesca – garantisce le banche e può anche finanziare direttamente le imprese (fino all’80% con prestiti fino a 1 miliardo). Quello stesso giorno anche l’Italia veniva autorizzata a concedere gli aiuti di Stato richiesti in quel momento: 50 milioni di euro per finanziare la produzione e l’acquisto di ventilatori polmonari e mascherine. A prenderli sono state finora 128 imprese (elencate sul sito di Invitalia) per 45 milioni di euro, dalla casa di moda Peuterey per produrre mascherine e camici di protezione, alla Sydex spa per i gel igienizzanti alla Tosti srl per le visiere oculari. Ma l’Italia ha anche avuto l’ok alle moratorie sui prestiti e alle garanzie statali del 100% fino a 25 mila euro, e fino al 90% per importi superiori, oltre che all’intervento della Sace come garante per le grandi imprese. In totale, secondo il governo italiano, sono 400 miliardi di euro mobilitati. Più di quanto stimi la stessa Ue.
L’ok da Bruxelles in 48 ore
Due soli giorni di lavoro per un via libera da Bruxelles è un record. E sono tempi inauditi per un Paese come l’Italia che, per esempio, attende da quasi un anno il via libera della Direzione Concorrenza (Dg Comp) al Montepaschi per la vendita dei crediti deteriorati, e da oltre sei mesi l’ok all’intervento della banca pubblica Mediocredito Centrale nella Popolare di Bari. Ma era il mondo pre-Covid. Oggi la risposta alla crisi causata dal Covid-19 deve essere rapidissima. Forse perché ha travolto tutti, inclusa Francia e Germania, due Paesi che nella Commissione Ue hanno sempre avuto un ruolo determinante.
Il pacchetto «compagnie aeree»
Il singolo pacchetto più grande di aiuti riguarda Air France: il 4 maggio la Commissione ha autorizzato la Francia a sborsare 7 miliardi di prestiti alla compagnia francese, suddivisi in 4 miliardi di garanzie sui prestiti bancari (al 90%) e 3 miliardi di prestiti diretti da parte dello Stato. Tra gli impegni chiesti alla società c’è il miglioramento della redditività e la riduzione delle emissioni di CO2. E sempre la Francia ha concesso un prestito garantito da 5 miliardi di euro alla Renault. Anche Danimarca e Svezia hanno chiesto specifici aiuti a favore della compagnia aerea Sas (per un totale di 274 milioni), mentre la Germania ha chiesto l’autorizzazione ad aiuti per 550 milioni per la compagnia charter Condor. Manca dall’elenco Lufthansa, perché la situazione è talmente disastrosa da spingere la compagnia a trattare direttamente un ingresso dello Stato: 9 miliardi di euro per il 25% del capitale. Con il blocco dei voli ha perso il 99% dei passeggeri, da quasi due mesi sono fermi 700 aerei su 760 e trasporta meno di 3.000 persone al giorno, mentre prima del Covid erano 350 mila. Sta bruciando 1 milione di euro ogni ora. Anche per Alitalia, che era già sotto aiuti di Stato ben prima del Covid -19, si valuta la nazionalizzazione, con 3 miliardi di euro versati in una newco.
Le nazionalizzazioni: da Lufthansa ad Alitalia
Se prima la Ue interveniva per far arrivare liquidità alle imprese, da poco ha fatto un passo in più dando via libera ai salvataggi pubblici. Gli interventi «temporanei» relativi alle nazionalizzazioni sono stati approvati dalla Commissione Ue l’8 maggio. Gli Stati possono entrare nella proprietà delle aziende, con nuovo capitale o con debito subordinato, sempre «preservando al contempo la parità di condizioni nella Ue». Per quelle fino a 250 milioni di fatturato – quindi medie aziende – non si deve neanche chiedere il permesso a Bruxelles. Per tutte le altre sì. Ci sono dei vincoli: il divieto di pagare bonus ai manager e di distribuire dividendi, di distorcere la concorrenza grazie ai capitali pubblici e l’impegno verso un’economia verde e digitale. Di fatto queste nuove regole consentono ai Paesi di muoversi più agevolmente per tenere le imprese a galla. Il timore è che quelli più solidi e ricchi – ovvero Germania, Francia e Olanda – possano falsare il gioco europeo dando la possibilità alle loro aziende di conquistare mercato a scapito di imprese di altri Paesi che hanno meno spazio di aiuti. Attraverso le scalate ostili, per esempio, anche se le nuove norme europee vietano acquisti di azioni oltre il 10% in imprese simili se lo Stato non ha recuperato almeno il 75% dell’investimento. «È nell’interesse di tutta l’Europa assicurarsi che questa crisi simmetrica globale non si trasformi in uno shock asimmetrico a scapito degli Stati membri che hanno meno possibilità di aiutare la loro industria, e della competitività dell’UE nel suo complesso»: sono parole della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Il controllo su come vengono impiegati i capitali di Stato sarà quindi fondamentale. La lotta per la sopravvivenza in Europa è appena cominciata.
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